Gli scolari salvati dal vaccino. Erano i tempi dei manifesti affissi anche a scuola e invitavano a vaccinarsi

La scuola elementare stava lì, in mezzo al paese, era un mausoleo immenso, entravamo tutti dal portone centrale sotto lo
sguardo vigile e allegro del bidello, zù Totò, e di sua moglie Maria.

Alla fine delle lezioni si usciva dai portoni laterali, uno per i maschietti e uno per le femminucce; erano anni lunghi e lenti da passare, nei quali mancava di tutto ma stava cominciando ad arrivare di tutto: la TV, il frigideire, la lavabiancheria. A scuola c’era pure la mensa, il refettorio, ma non per tutti e già allora facevano capolino le raccomandazioni…”…sa io sono nipote dell’Avvocato…mio cugino è cognato dell’assessore…ma chì fai non mi conosci…io sugnu…” il clientelismo era agli albori, tutti volevano usufruire della refazione.

Quanti buoni odori arieggiavano per quei larghi corridoi, per le ampie aule dai tetti alti, pulite ma fredde e grigie, tra quei banchi in legno scuro massiccio con il buco vuoto all’angolo per l’inchiostro, il calamaio non si usava quasi più, già c’erano le
penne Bic e i lapis, un quaderno a righe e uno a quadretti, il sillabario, un album da colorare, eravamo alla prima elementare,
erano gli anni 60, una vita fa e tutti facevamo i vaccini.

Giocavamo in mezzo alla strada, vivevamo in case senza riscaldamento e con poche comodità, dalle pareti scrostate e piene
di muffa, causa la perenne umidità, malgrado tutto siamo cresciuti sani e pieni di vita. A quei tempi lo Stato, la Repubblica, nata sulle macerie di un regime e una guerra devastante, pensava di combattere la tubercolosi, la poliomelite, il vaiolo, la difterite, l’analfabetismo.

Ricordo che ogni 6 mesi ci mettevano tutti quanti in fila e il dottore ci “interrogava” con un tubicino di plastica e due dischetti
di metallo attaccati, era lo stetoscopio, ci visitavano bronchi e polmoni, ci faceva tirare fuori la lingua e ci guardava faringe e
laringe, ci palpava le ghiandole e a chi era deperito davano il ricostituente e lo mandavano al refettorio.

Io al refettorio non ci andai mai, mio padre era bracciante ma non era raccomandato e non mi prendevano, c’era chi stava peggio di me, padre disoccupato, padre ammalato o licenziato, chi era malvisto, dicevano… Poi arrivava il momento del vaccino, l’antipolio, l’antivaiolosa, l’antitubercolare, l’antidifterite, c’era chi piangeva, chi aveva paura, qualcuno rideva, era
solo una puntura che poi non faceva tanto male e a volte davano pure le gocce.

Le mamme alla notizia del vaccino da fare erano titubanti, incerte, ma al pensiero di avere figli con la faccia bucata dal
vaiolo o sciancati di poliomielite correvano a farli vaccinare. Erano tempi tristi, quelle malattie erano dappertutto e
contagiavano velocemente i bambini che quando avevano la pertosse, chiamata “tosse canina”, venivano portati nelle stalle a prendere l’aria tra le vacche, ad inalare l’odore del concime fumante.

Erano i tempi dei manifesti affissi sia a scuola che sui muri delle strade e invitavano tutti a vaccinarsi. Ci vaccinavamo tutti e non perché lo chiedeva la maestra a scuola o il dottore, oppure a casa nasceva il dubbio, la discussione…”- …che fa lo facciamo vaccinare?…ma non gli farà male?…”. Credo che per tutti loro, scritto o non scritto fosse un dovere prima che un obbligo e l’uno non è necessariamente l’altro e il primo è anche di più perché è la libera e cosciente accettazione del secondo.

Un dovere né più né meno che andare a votare, lavarsi le mani prima di mettersi a tavola, lavorare duramente e per bene, leggere sempre qualcosa e salvare i figli, salvarli dalla miseria, dalle malattie, salvarsi dall’ignoranza e dalle guerre! E loro seppur arretrati e ignoranti e ingenuamente fiduciosi e stupidamente convinti com’erano dei loro doveri ci hanno protetto e ci hanno salvato contribuendo alla crescita di una Repubblica che viveva una democrazia un po’ più decente di quella odierna, una democrazia propensa al facoltativo, facoltative le tasse, la fatica, lo studio, la consapevolezza, il vaccino, il bene la dignità.
E loro che erano un popolo arretrato e ignorante vivevano di una condizione della plebe sapientona e chiacchierona che reclama sempre di saperla sempre troppo lunga perché le sia negata la libertà di essere quello che sono.

E oggi voglio permettermi pure io la libertà, quella libertà che ho ereditato da loro, costruttori della Repubblica e della democrazia di non avere nessun rispetto per la stupidità, a voler bene quasi tutti, tranne a chi non sa che odiare e travisare la verità.

Giuseppe Morreale

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