I racconti del Professore Antonino Russo legati alla tradizione, riscaldano il cuore come il suone delle zampogne natalizie che a Bagheria non si sentono più, sostituite dai bassi degli impianti stereo delle macchine. E oggi con il quadro sociale della nostra città, ritrovare calore è proprio necessario.
Tra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta la preparazione del presepe era un esercizio estremamente gradevole. Venivamo dalle privazioni della guerra e quella del Natale era una festa ristoratrice.
Innanzitutto vi era la ricerca dello scatolo che conteneva tutto l’occorrente. Mio padre sistemava un triangolo di legno in un angolo delle scale ed io, in uno spazio ristretto cercavo di fare entrare tutto il materiale di cui disponevamo. Alla fine il tutto appariva affogato in quel triangolino di spazio, ma per me era il più bel presepe del paese.
Ogni anno i pastorelli aumentavano e lo spazio in cui collocarli diventava sempre più esiguo. Usare le piccole luci sarebbe stato dispendioso in tutti i sensi: veniva sistemata una lampada sopra il baldacchino e il tutto veniva abbondantemente illuminato.
Quando si udiva il suono delle cennamelle io dicevo ai miei pastorelli: “questo suono vale anche per voi”. Noi non avevamo i soldi per pagare i suonatori.
Il piccolo presepe veniva da me continuamente modificato: non lo lasciavo mai tranquillo. Alla fine per me costituiva un gioco. Ogni giorno trovavo qualcosa da modificare o da aggiungere.
I pastorelli erano di creta e se cadevano a terra si riducevano in pezzi. Io li incollavo con colla da falegname.
Dopo qualche anno i pastorelli erano tutti rabberciati alla meno peggio. Ad ogni modo per me quello rimaneva il più bel presepe del paese.
Cosi passava il tempo e il giorno dell’Epifania tutto il materiale rientrava nello scatolo da sistemare in un angolo del piccolo appartamento nel quale abitavamo.
Antonino Russo
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