“Il Collaboratore”, film di Francesco Gallo

Interviste al regista ed al cast – Prima Parte

Il Collaboratore”, opera cinematografica di denuncia sociale contro la mafia, uscirà prossimamente nelle sale. Il film, scritto, diretto e prodotto da Francesco Gallo, è la storia di un mafioso, che decide di diventare un collaboratore di giustizia; ma fino alla fine l’uomo dovrà fare i conti con un passato difficile da lasciarsi dietro le spalle, per iniziare una nuova vita.

Abbiamo voluto incontrare il regista ed il protagonista principale, Roberto Romano, per un’intervista che siamo lieti di pubblicare e a cui seguirà una seconda parte, nel prossimo numero del Settimanale.

Francesco, come è nata l’idea di un film, dal tema così impegnato nel sociale, come il triste ed attuale problema della mafia?

È mia intenzione lanciare un messaggio, rivolto soprattutto ai giovani, per smontare un falso mito, purtroppo ancora presente, secondo il quale, la figura del mafioso si erge al ruolo di valoroso giustiziere che combatte contro un mal governo. È doveroso quindi trasmettere ai giovani, un concetto che veda lo sviluppo della società, rimanendo nella legalità. E’ un film di denuncia sociale che mette a nudo una tragica realtà, dove la criminalità organizzata mostra tutta la sua ferocia, per consolidare il proprio potere.

Ci puoi descrivere la trama?

È la storia di un mafioso, che decide di diventare un collaboratore di giustizia, un “pentito”, che come tale, fornisce in segreto all’autorità giudiziaria, nomi di affiliati alle cosche mafiose, descrivendo anche i feroci metodi attuati, per compiere delitti, come le torture e le esecuzioni. Il collaboratore, tuttavia, temendo una sicura vendetta da parte del clan mafioso, si vede costretto a svolgere un vero e proprio “doppio gioco”, dove sembra non emergere nessuna reale possibilità di riscatto morale.

La trama, quindi, è incentrata sulle vicissitudini di un collaboratore di giustizia, un elemento chiave reale nello svolgimento delle indagini e delle inchieste antimafia. Non si tratta quindi del classico eroe positivo, quanto piuttosto dell’antieroe, cioè il personaggio che fino alla fine è combattuto tra bene e male. Il film esce, un po quindi “fuori” dai canoni classici, per esaminare più a fondo queste figure controverse, peraltro poco approfondite nella realtà?

Si, sicuramente, nel film il protagonista non impersona quegli ideali tipici dell’eroe positivo, piuttosto è un uomo segnato dal proprio passato che sembra non concedergli possibilità di riscatto per il futuro, ma che lo confina in una dimensione dove lui “combatte contro se stesso”.

Nel ruolo di protagonista è stato scelto Roberto Romano, un attore che ha già dimostrato una spiccata attitudine alla versatilità, poiché ha una buona capacità di interpretare ruoli diversi ed anche una forte carica espressiva. Sono state queste le motivazioni della scelta o un elemento ulteriore, che ha fatto la differenza?

Ho scelto Roberto Romano come protagonista, innanzitutto, perché lo stimo come persona, dato che lo conosco da anni e conosco la sua serietà professionale; considerando inoltre, che è un veterano del cinema indipendente, sono molto fiducioso sul fatto che assieme a lui non potrò fallire, bensì conto di riscuotere un buon successo.

Roberto, puoi descrivere il personaggio del film: “il collaboratore”, dal tuo punto di vista?

È un uomo votato alla violenza, a volte anche gratuita, che durante una notte svegliandosi di soprassalto, a causa di un incubo, decide di pentirsi delle proprie azioni. La motivazione del gesto non è però dovuta, ad un improvviso richiamo della fede religiosa, come nel caso di molti dei suoi ex alleati. Per lui era arrivato il momento di esaudire l’unico vero desidero della moglie: quello di condurre una vita diversa, da quella vissuta finora, dove non c’era più motivo di avere paura costantemente in ogni momento della giornata, una vera scelta d’amore, quindi per la donna amata.

Come hai vissuto questa esperienza, nella veste per te inedita dell’antieroe?

È stato sicuramente per me un ruolo nuovo in cui cimentarmi, la cui interpretazione ha richiesto uno studio molto approfondito, da parte mia, per far apparire un personaggio in modo veritiero, cioè rispondente alla realtà; ma senza scadere mai nella banalità imposta dai soliti luoghi comuni.

Questo film di denuncia sociale, dove emerge la figura controversa del protagonista, combattuta tra bene e male, può secondo te, rappresentare una chiave di lettura per la società attuale, eternamente divisa tra la voglia di riscatto da un lato e la cupa rassegnazione dal lato opposto?

È molto probabile, dato che effettivamente si tratta di una triste realtà. Tuttavia, io penso che molte cose sono cambiate dal periodo nero, culminato negli attentati mortali ai giudici Falcone e Borsellino e continuano a cambiare, perché si avverte tra la gente una voglia di riscatto sempre crescente in misura maggiore. Sono convinto che anche nell’ambiente mafioso, in tanti stanno cominciando a prendere, sia pure lentamente, una maggiore consapevolezza sull’impossibilità di continuare a condurre una vita intera a delinquere, data l’inevitabile quanto pessima fine che molti latitanti fanno, a causa di una situazione che li costringe a vivere come topi rintanati, perché ricercati dalla legge.

 

Il tema della mafia, trasposto dalla triste realtà al cinema in Sicilia, rimane una costante. Se da un lato, difatti, non si arresta la mercificazione di quel vergognoso luogo comune che accosta la nostra terra all’illegalità, bisogna comunque seguire una strada parallela, dove il messaggio che si trasmette è una doverosa denuncia. Qual’è il tuo parere in merito?

Fermo restando che è doveroso denunciare soprusi e violenze di ogni genere, ritengo che la Sicilia ha tanto da offrire, in termini di arte, cultura e ospitalità, quindi perché continuare a dare spazio a quelle produzioni televisive che parlano di mafia, solo per fare audience e battere cassa? Perché alla fine la verità è questa, quando invece, Palermo e la Sicilia intera, sono ben altro, rappresentano un patrimonio da tutelare e da valorizzare.

Nicola Scardina


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