Il bagherese Gioacchino Scirè compie 100 anni e racconta la sua storia

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Cento anni di vita vissuta. Cento anni di esperienze, ricordi e infiniti momenti da raccontare. Cento anni di storia, non di quella che asetticamente si studia sui libri, che di quella ne sanno parlare tutti,
ma una storia che sa di realtà e che, per questo, assume un fascino unico e disarmante.

Sono i cento anni del nostro concittadino Gioacchino Scirè, per gli amici u zu Iachinu, nato l’11 Agosto 1917.

Certamente non è cosa da tutti poter affermare di aver vissuto un secolo nella sua interezza, né è scontato che chi lo ha vissuto sia in grado di rivivere e raccontare ogni momento con la stessa
lucidità che accompagna Gioacchino Scirè.

Già entrando in casa si respira un’aria di festa: circondato dalla sua famiglia e dai suoi affetti più cari egli è ben felice di raccontarsi, senza riserve
e senza remore, ed è anche ansioso di festeggiare questo compleanno così speciale.

E quale modo migliore di celebrare un traguardo tanto importante che dare una testimonianza diretta delle proprie esperienze? Gioacchino racconta di essere stato tante cose nel corso della
propria vita. È stato figlio; figlio di un padre contadino, e fratello di quattro maschi e tre femmine;
racconta del bel rapporto con i fratelli, della vocazione dello zio Santo, poi divenuto fra Santo.

È stato contadino, come lo era suo padre, trascorrendo la giovinezza come “arrimunnaturi”.

È stato anche carrettiere, trasportando l’uva nel periodo della vendemmia e portando i limoni nei magazzini
di Palermo. È stato soldato, a più riprese e in diversi conflitti, per un totale di cinque anni. Ricorda ancora a memoria alcune strofe delle canzoni imparate al fronte. Recita “Montenero trarituri”,
improvvisata per la prima volta dagli Alpini durante la prima guerra mondiale, ma spesso cantata anche durante la seconda, e non sbaglia neppure una parola, quasi l’avesse imparata ieri.

Racconta poi il viaggio di ritorno, un mese intero di camminata a piedi per attraversare l’Italia e tornare in
Sicilia, a casa. Durante il viaggio non è solo; viaggia insieme ad un compagno d’armi, originario di Casteldaccia, più giovane di lui di qualche anno; “Non amava camminare”, racconta Gioacchino Scirè, ma tanto e tale era il desiderio di tornare a casa, di riabbracciare le proprie famiglie, che
anche il camminatore più lento e svogliato si sarebbe rivelato capace di correre una maratona.

Estremamente vivido è il ricordo, più che delle camminate, delle pause di riposo, delle notti trascorse nei fienili o nei pozzi delle case. È un racconto comune a molti soldati tornati dalla guerra:
molte famiglie, quelle più coraggiose, accettavano di nascondere i soldati per la notte, molto spesso in spazi esterni alla casa, come magazzini o pozzi, dove li lasciavano dormire fino al mattino dopo,
quando puntualmente riprendevano il loro lungo cammino.

Gioacchino però racconta di una famiglia in particolare, la cui bontà d’animo non ha mai dimenticato, che gli aprì le porte di casa. Il capo famiglia, infatti, intimò ai figli, che subito gli obbedirono, di abbandonare i propri letti per cederli a lui e al suo compagno d’armi. Avrebbe voluto ricontattarli Gioacchino, magari per
ringraziarli di quel gesto che ancora oggi, a cento anni e dopo una vita intera vissuta, non smette di commuoverlo e che, inevitabilmente, commuove anche chi lo ascolta; l’indirizzo di questa famiglia,
tuttavia, andò perduto e insieme ad esso ogni possibilità di instaurare un contatto.

Gioacchino Scirè è stato tante cose, ma ciò che più emerge dal suo racconto è che molto di ciò che è stato ha a che fare con gli intensi rapporti umani che ha intrattenuto nel corso della sua vita.

Molti, infatti, sono i personaggi della storia che Gioacchino racconta, a cominciare dalla moglie.

Racconta del momento in cui si sono conosciuti, una Domenica fuori dalla Chiesa, e del loro fidanzamento,
durato circa quattro anni, durante il quale non sono mai stati lasciati da soli, nel vero senso della parola. Come da tradizione, infatti, i fidanzati si incontravano prima del matrimonio solo in presenza di alcuni parenti, che in qualche modo dovevano vegliare su di loro e assicurarsi che si
comportassero in maniera consona. “Quando uscivamo per andare a prendere un gelato finivamo sempre per comprarne dieci”, spiega scherzosamente.

Racconta anche della loro unione, dalla quale nacquero tre figli, Cosimo, Nina e Mario e di quando, proprio per andare a trovare la figlia, partì dalla Sicilia per trascorrere un mese in America, luogo di ricchezze, in cui, scherza Giacchino, si
sarebbe trasferito molto volentieri se solo fosse stato un po’ più giovane.

Accanto ai legami familiari, poi, emerge l’importanza di un altro legame, l’amicizia, un’amicizia profonda, fatta di fiducia e rispetto reciproco. Parla così di Ignazio Bartolotta, suo fidato amico, e di
Carmine Ducato, suo compare. Il loro fu un sodalizio personale, ma anche di affari. Sono gli anni della fondazione della cooperativa, un’attività fruttuosa e ben finanziata dallo Stato, la cui
evoluzione procedette di pari passo all’accordo tra i soci.

Si tratta dunque di una vita vissuta con la volontà di costruire qualcosa, non solo materiale, ma anche affettivo, e la più grande soddisfazione è, alle porte dei cento anni, la consapevolezza, nel suo piccolo, di esservi riuscito.

Quando gli è stato chiesto cosa pensasse del fatto che ha vissuto per un intero secolo, Gioacchino Scirè ha risposto di essere grato, grato per questo dono, grato alla sua famiglia, sempre unita e pronta a supportarlo e a prendersi cura di lui come lui stesso ha fatto con loro per tanti anni, grato ai suoi figli, la più bella eredità che possa lasciare.
Un augurio speciale dunque ad un uomo che ha vissuto la vita a pieno e a lungo, come andrebbe sempre vissuta. Buon centenario, zu Iachinu!

Alessia Girgenti

Le foto:

 

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