
Chi di noi, almeno una volta, non ha pensato che se fosse stato contemporaneo di Gesù di sicuro gli avrebbe creduto e lo avrebbe seguito, che bisognava essere ciechi per non capire che era il Figlio di Dio? Eppure proprio i suoi compaesani, che conoscevano Lui e la sua famiglia, che lo avevano visto crescere e frequentare la sinagoga, rimangono scandalizzati dalle novità che Gesù porta. Sì, è proprio la novità, spesso invocata e attesa come rimedio a una vita ingiusta o anonima, a creare disagio quando non si è realmente pronti a riceverla.
E Cristo rinnova radicalmente il modo di concepire il rapporto con Dio e tra gli uomini: presenta un Padre misericordioso e siede a mensa con i peccatori; interpreta autenticamente la Legge e antepone l’uomo ad essa; sceglie come sua nuova famiglia un gruppo di persone semplici e supera l’assolutizzazione dei legami di sangue; predilige ciò che è piccolo e rifiuta ogni forma di messianismo trionfalistico. La novità di Gesù, secondo gli interrogativi dei Nazaretani, verte sulle parole, sulla sapienza e sui miracoli che Egli esprime. Perché la loro meraviglia non si trasforma in fede? Eppure certe parole che ti toccano il cuore hanno la capacità di disarmarti; certa saggezza che ti illumina la strada desta il desiderio di incamminarti; certi segni che ti sono dati suscitano il bisogno di donarti.
Perché maturi la fede è necessario un altro requisito, oltre alla capacità di stupirsi e di percepire una novità, ossia la disponibilità ad accettare che il volto di Dio sia diverso da come te lo aspettavi. E il volto di Dio che Gesù manifesta è umano, troppo umano. Egli era «il falegname», un mestiere con poca speranza di guadagno; inoltre l’epiteto «figlio di Maria» suona come dispregiativo, perché è come se gli venisse negato il legame con la tradizione, garantito dal padre. E noi? Siamo in grado di vedere nelle mani callose di un falegname e nel volto di un figlio della nostra terra l’origine della salvezza? Una persona mi raccontava di un amico che, dopo aver passato tutta la vita lavorativa ad avvitare bulloni in una fabbrica, manifestava un tic nervoso alle mani, con un evidente movimento di rotazione continua. Te lo aspetteresti un Dio dai tratti così umanamente imperfetti per gli standard culturali di ieri o di oggi, dominati da un perfezionismo rituale o estetico e dalla cultura dello scarto? Per molti Dio dovrebbe essere ‘altro’, cioè tutto il resto che l’uomo non riesce a darsi per realizzare i suoi obiettivi, quella parte mancante sempre agognata e mai raggiunta in pieno.
Una tale idea di Dio è pericolosa, perché si vorrebbe piegare l’Assoluto ad una semplice integrazione, seppur di tutto rispetto, delle prerogative umane. Ma abbiamo detto che Gesù è novità e se lo accetti come tale devi essere disposto a farti sconvolgere, lasciarti portare dove non vorresti, rinunciare in un attimo a ciò che hai costruito in nome di un possesso più grande. Possiamo apprendere infinite nozioni su Dio ma non averlo mai incontrato, perché siamo chiusi dentro i nostri schemi e fatichiamo ad aprirci alla sua creatività. Occorre dunque la fede per passare dalla conoscenza all’amore, dalla presunzione di sapere tutto su di Lui all’accoglienza genuina di una rivelazione continua del suo volto che illumina la nostra vita.
Da dove può nascere la fede? Il testo si conclude con un atto d’amore indomito di Gesù nei confronti dei suoi compaesani. La risposta di Cristo al rifiuto ricollega la sua sorte a quella dei profeti, che nella storia di Israele subirono quasi sempre persecuzioni, e anticipa così la sua Pasqua, che procurerà la salvezza a questo stesso popolo che lo ha disprezzato.
Egli, infatti, pur non potendo compiere grandi prodigi a causa dell’incredulità, «impose le mani a pochi malati e li guarì». Gesù continua ad amare anche se sono pochi coloro che si lasciano amare veramente, anche se è uno solo. Per questo il suo amore è caparbio e dovrebbe convincerci sulla sua incrollabilità, aprendoci in tal modo alla fede. Da parte nostra, basterebbe ricordare non solo quello che Dio ha fatto nella storia altrui, ma specialmente nella nostra storia, mentre invece siamo più bravi ad accantonare e dimenticare i suoi doni.
Dallo stupore e scandalo dei Nazaretani, si passa alla meraviglia di Gesù per il cuore chiuso dei suoi. Ancora una volta il Figlio di Dio si mostra autenticamente umano per farci comprendere che l’uomo è la via per arrivare a Dio e invitarci a dare fiducia anche all’uomo che sbaglia. Non rendiamo vana la sua visita nella nostra «patria»!
Rubrica a cura di Giuseppe Fumia
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