ROSA ROSSA SIMBOLO DI QUELL’ AMORE IN GRADO DI SUPERARE CON CORAGGIO OGNI DIFFICOLTA’, BATTAGLIA, RAGGIUNGENDO LA SPERANZA

Oggi, da semplice cittadino, da battezzato e cristiano, ho desiderato omaggiare con tre rose, tre uomini di grande spessore di umanità e di coraggio, per la grande testimonianza che hanno trasmesso prima in vita e, dopo la loro morte, alle future generazioni. Non ho voluto fare una selezione, scegliendo i “migliori” escludendo altri. Assolutamente no, perché omaggiando queste tre figure in effetti ho reso memoria indistintamente a tutti i testimoni nella fede e giustizia.

Ho omaggiato un laico, un servitore dello stato, ed infine un sacerdote.
In primis mi sono recato presso la tomba di un laico come me, ma con ruoli diversi nella vita, lasciando la prima rosa rossa. Il laico Fratello Biagio Conte per cui ha creduto infinitamente al suo ruolo di missionario tendendo la mano a chi si trovava in situazioni peggiori di noi, soccorrendo miseri ed indigenti. Da non dimenticare che dopo la sua conversione ha donato sé stesso, e perciò, molte volte è stato lasciato solo da ogni istituzione perché molte volte non era capito ed ascoltato e per cui attraverso le sue lotte, anche con digiuni, ha raggiunto i cuori, facendo scaturire compassione, consapevolezza e risolutezza. Attraverso questi gesti eclatanti ha messo a repentaglio la sua vita per scuotere le coscienze per arrivare a scopi molto chiari e umani. Spero che la folla accorsa nei giorni del suo funerale, non dimentichi il messaggio del fratel Biagio Conte, e cioè: Amarsi, unirsi, aiutare, pregare e così via, così pure non ci chiede di innalzarlo sugli altari ma dobbiamo essere noi a diventare santi, come suggerito dall’ arcivescovo di Palermo.

Poi, come seconda tappa, mi sono recato presso la tomba di un magistrato, servitore dello stato. Si, dello stato, di cui molte volte lo ha lasciato solo nelle sue battaglie e nella incolumità della sua persona. Dopo la cattura, a quanto pare dei uno degli ultimi boss, ho sentito fortemente di lasciare nella sua tomba oltre la rosa rossa anche la copia di un documento scritto dal coordinamento delle parrocchie di Bagheria, Casteldaccia ed Altavilla Milicia, documento letto, allora, nelle chiese durante le omelie.

I sindacati di allora confederali delle zone annunciano la costituzione di un loro coordinamento antimafia. Gli anni 1982-83 sono gli anni cruciali della seconda guerra di mafia scatenata nel 1978 dai “Corleonesi”, che fa oltre mille vittime ed è costellata dai delitti politico-mafiosi. L’obiettivo immediato è il dominio interno alla mafia, quello strategico di bloccare ogni processo di cambiamento della società. In quella stessa epoca esplodeva il terrorismo politico per bloccare ogni apertura alla sinistra comunista voluta da Moro e da una parte del suo partito, la Democrazia cristiana. Moro fu rapito nella primavera del 1978 e dopo una lunga
prigionia ucciso barbaramente dalle Brigate rosse. Nel 1980 a Palermo viene ucciso dalla mafia il democristiano Pier Santi Mattarella, Presidente della Regione, anche Lui ritenuto responsabile di aver tentato l’apertura a sinistra, al PCI, e di rompere il sistema politico-mafioso, contro la volontà di uomini come
Ciancimino. La seconda guerra di mafia vede alternare delitti politico mafiosi a faide interne. Dopo l’uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo (30 aprile 1982) si registrano una serie impressionante di delitti nell’area di Bagheria, Altavilla e Casteldaccia, che preannunciano l’uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa e che i giornali dell’epoca descrivono come il “Triangolo della morte”.

La maggioranza dei cittadini onesti ed operosi, si ribella al terrore mafioso. Ecco che la resistenza alla mafia non è solo un affare di polizia e magistratura, ma riguarda ogni singolo cittadino, al nord come al sud. La strada maestra da percorrere per educare i giovani alla legalità è quella della formazione-informazione nelle
scuole e nelle università, luoghi deputati alla crescita culturale dei giovani. A questi uomini, loro l’Italia migliore dovrebbe guardare, sul loro esempio dovrebbe muoversi ed essere attiva, sia nella società civile laica che nelle Chiese.

Ed infine, mi sono recato presso la tomba del beato Pino Puglisi, anch’ esso ho lasciato una rosa rossa sulla sua tomba con lo stesso documento lasciato al magistrato Falcone perché Li è la Chiesa che come all’ ora, tutt’ oggi ci parla. Non dimentichiamo l’anatema di Giovanni Paolo II contro la mafia, così come la
“scomunica” emessa ormai anni fa da Papa Francesco. Il Beato Pino Puglisi ha cercato di portare nel quartiere Brancaccio un cambiamento soprattutto con la legalità attraverso l’istruzione partendo dai bambini. E mi rattrista sentire una notizia a dir poco sconcertante e cioè che, a causa della poca accorta e gestione della
politica e burocratica degli adempimenti necessari per la costruzione di un asilo nido nel quartiere, denominato “I PICCOLI DEL BEATO GIUSEPPE PUGLISI”, viene infranto un sogno del Beato. Il progetto era stato benedetto anche da Papa Francesco, durante la visita presso la casa museo del Beato. Il progetto era stato realizzato dal “Centro Padre Nostro” e per cui il governo Conte aveva stanziato una notevole somma, ma a causa di lungaggini da parte del comune di Palermo, non avendola inserita nelle opere pubbliche, si è perso purtroppo il finanziamento. Forse ci sarà qualche altro tentativo con l’attuale governo. Come già citato, riconfermo che la lotta alla mafia si fa costruendo asili, scuole perché i bambini devono respirare aria di istruzione, cultura e legalità, sennò NON AVREBBE SENSO GIOIRE ALLA CATTURA DI UN BOSS. Quindi non vale la pena che ci rechiamo a tutti gli incontri e passerelle nel ricordare le vittime di mafia quando non si concretizza con le parole i fatti che si sono pronunciati in questa o quell’ altra occasione di anniversari di stragi.

Come non avrebbe senso, non ricordare il coraggio del Beato nel cambiare la modalità e l’usanza di una processione. Cambiare stile, cambiare metodo, cambiare percorso processionale affinché l ‘ immagine sacra arrivasse anche nelle zone periferiche e non più davanti alle case di chi si è macchiato di crimini e di peccati. Ridurre i costi così nell’ organizzazione di una festa troppo costosa: uno dei motivi era proprio che il Beato molte volte si ritrovava in difficoltà perché non trovava fondi per aiutare i più bisognosi e poi, notava che, durante lo svolgimento della festa, i soldi fluivano in grande quantità per soddisfare i capricci di chi stava al
comando. Così da eliminare da ogni immagine sacra il rivestimento della stessa con oggetti preziosi come l’oro o soldi e per cui io mi permetto aggiungere che “O si porta in processione il simulacro oppure si ostentano soldi, oro e argenti che ha addosso, solo per il semplice motivo che si deve far notare agli altri, che quell’ oggetto così particolare lo possa essere ammirare dagli altri. Mi pare che il vangelo ci ricorda che: “Quando dunque fai l’elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini (Matteo 6,1-4). Non c’è dubbio che si tratta di un gesto di devozione, frutto di sacrifici e di rinunce.

Tengo presente, però, che ricoprendo l’immagine sacra di manufatti preziosi, soldi, diamo l’impressione di portare in processione non un santo ma il “dio denaro”. Così da eliminare ogni forma di ostentamento e balletti vari. Questa è il coraggio di questi uomini che nel tempo hanno dato testimonianza di vita e di fede e per cui non bisogna dimenticarli o ricordarli solo in occasione quando ci fa comodo.

Quindi riallacciandomi all’ apertura di questo mio pensiero, come semplice cittadino, da battezzato e cristiano, da impegnato nella chiesa locale e romana, auspico, partendo da me, che ogni sforzo compiuto da questi personaggi, non sia stato vano ma che continuino attraverso la nuova generazione, anche perché le loro idee continueranno a camminare nelle nostre gambe, nei nostri pensieri, nei nostri gesti. Sento questa responsabilità e per questi motivi, continuerò nella mia strada di legalità, riconoscendo i miei limiti, senza che questo scritto con le relative foto sia interpretato come una megalomania ma semplicemente come un atto di testimonianza. Purtroppo la megalomania si è accentuata notevolmente da tutti quando i social network hanno presso campo a 360° gradi e quindi non è problema mio se me ne servo pure io, perché quando decido di farlo, lo faccio per cognizione di causa e non per cose futili. “Le reti sociali non sono mondi paralleli, ma se utilizzate con discernimento possono diventare strumenti di evangelizzazione e fattore di sviluppo umano”.

(Messaggio di Papa Benedetto XVI per la 47.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali” incentrato sul tema “Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione”).

Nelle nostre diocesi c’è una buona consapevolezza che la Chiesa è un popolo e non si identifica con pochi prescelti o eletti. Da più parti emerge il tema della diversità dei doni e dei carismi, dati ai singoli e alle comunità, che andrebbero sempre riconosciuti e messi a disposizione di tutti. Spesso la nostra capacità di ascolto è limitata dalla nostra mancanza di fede, dall’incapacità di intercettare la volontà di Dio, perché il nostro “io” è troppo grande e prevalente, impedendoci di ascoltare i fratelli, presi, spesso, dalle nostre preoccupazioni e dal nostro egoismo.”

Per concludere sono rincuorato anche dalle parole di S. Pietro: “Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio”.

GIUSEPPE FIRENZE



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