Festa di San Giuseppe, Patrono di Bagheria, agosto, c’è caldo, il sole a picco, un vento di fuoco brucia l’asfalto, fa alzare polvere
e sbattere le persiane. Da tre giorni sono ospite presso mio zio Gabriele, ai Lannari; la banda musicale di prima mattina fa il giro del paese, la sua musica, allegra, sbarazzina dà la sveglia. Il tammurinaru stava con il banditore appresso che abbanniava:- “…sintiti, sintiti, sintiti, all’ordini del signor Sindacu, alle tri di sta jurnata ci sarà la cuissa ri cavaddi, state attenti tutti, talìativi i picciriddi, cu muari è a cuntu soa…”.
La giornata volò in un fiat: la processione con la vara di San Giuseppe che doveva uscire dopo la corsa stava dentro la Chiesa della Madrice, con le sue fimmine in nero che si dicevano il santo Rosario, con il popolino tuttu m’pustatu, mutatu con il vestito della festa, scarpe lucide e con i schietti che aspettavano il passìo serale:-“…stasira nesscinu puru i succi, stavota mi fazzu zitu!…”.
La corsa dei cavalli si svolgeva con partenza dalla Puntaguglia al Palazzo Butera lungo tutto il Corso e il palco era piazzato quasi a ridosso del passaggio a livello, allestito con tavuluna e tubi di ferro, e sullo sfondo il mare d’Aspra che si confondeva con il cielo azzulatu d’agosto, uno spicchio che si pigliava con le mani tra il passaggio a livello con le sbarre calate e il treno che rallentava come a fare riverenza a quella festa tanto amata dai baarioti.
Il sole abbagliava fantini e cavalli, cavalli impasturati con le zampe attaccate, nervosi che scalpitavano. Gli zoccoli ferrati lasciavano il segno sull’asfalto bollente e schizzavano tra la sabbia stesa tra le gabbie con le balle di fieno poste a protezione per non fare scivolare i cavalli, che s’agitavano per i rumori della folla, sbuffavano, giravano a vuoto, tenuti a freno a stento dai fantini.
Fantini dalle casacche sgargianti, dai colori vivi, con i cappellini attaccati al collo, sembravano tanti picciriddi, piccoli, magri, senza panza e culo ma con tanto coraggio, senza paura nel montare quei splendidi cavalli, puledri di razza araba. Due ali di bagheresi festanti con il priu di vedere “ a cursa” affollavano il Corso, sempre in tracchiggiu, piazzati tra i piloni di Villa Giuseppina e la chiesa di
San Pietro, si muovevano come un’onda tra i “tre portoni e la Madrice, in cerca della postazione migliore, tra le transenne, sopra un palo, un camion, una sedia, un motom.
I balconi che s’affacciano sul Corso sono pieni; donne dai volti abbronzati, sorrisi solari, con i vestiti colorati, scollati; bambini squieti, impazienti, anziani con coppola, in camicie bianche e bretelle a sorreggere larghi pantaloni. A frotte arrivano dalle stradine che tagliano il Corso, vagonate di gente eccitata, accaldata, sudata, famiglie con le seggiolne pieghevoli, padri di famiglia con le pance piene, attinchiate, appena aprono bocca eruttano fumi di vino e babbaluci conditi con l’aglio.
Finestre e persiane sbarrachiate, Bagheria oggi è tutta lì, Bagheria operosa, agricola, limiunara, maasinanti, artigiana, cavaddara; negli anni 30 circolavano per le strade sterrate del paese più di 1000 carretti! Bagheresi, gente che vuole e può, gente che ci tiene a realizzare certi sogni, come avere un cavallo di proprietà. Sogni facili da realizzare, basta volerlo al resto ci pensa l’aria che si respira,
quel sole africano che cuoce il cervello, quella spagnole ria smania di fare invidia a tutti.
La corsa sta per iniziare, oltre i baarioti, migliaia di gente che arriva dai paesi del circondario, da tutta la provincia, da Ficarazzi a Trabia, da Termini a Misilmeri sciama per lo “Stradonello”, tra montagne di muluna rossi stesi a terra, lambrette di fichidindia, bancarelle di calia e semenza, luppina, ceci, con i pannelli dipinte dai Ducato, da Murdolo, con le storie dei Paladini di Francia, di
Orlando e Angelica, dei Vespri Siciliani, teste tagliate, spade insanguinate, il popolo ama le tragedie, i drammi, le gelosie, le
battaglie.
All’angolo della piazza c’è il Bar Aurora, affollato, c’è un via vai continuo, nell’aria ciavuru di caffè, quel caffè che il grande Guttuso lodava:-“…dove si fa il migliore caffè del mondo? A Bagheria! Al Bar Aurora…!”. Uno sparo, le gabbie si aprono, i cavalli scattano veloci: Brillantina, numero 23, un baio locale di Tutino, volteggia, sembra che torna verso il palco; Stella, baio di Ciro di Salvo parte sparato
rasentando le transenne; le corse si susseguono per tutto il pomeriggio, infiammano il pubblico che non ne perde una; seconda
corsa: “Patrizia” si fa ammirare per la sua classe; “Ciacia”, un grigio della scuderia Garufo è nervoso e disarciona il fantino; i sauri sono focosi, vanno montati a pelo, senza sella, “balatone” vola ma davnti al palazzo “Inguaggiato si blocca”, risate e frustino che batte sul cavallo stonato; alcuni cavalli sono “scossi”, cioè arrivano al traguardo senza fantino che è stato sbalzato a terra; al Palazzo i palafrenieri si mettono con coraggio in mezzo alla strada e calmano fermandole quelle furie sciolte; “Battisti” della scuderia Tutino è costante, galoppa ma la salita del Corso rompe i garretti e cede; “Patty”, una saura purosangue di Giuseppe Bivona cavalcata con eleganza da un bambino attira l’ammirazione del pubblico; la folla urla, è rumorosa, rumina calia e beve birra, compra palloncini per i picciriddi che così stanno buoni, si apre e si richiude di colpo al passaggio dei cavalli come Mosè con le acque del Nilo.
E’ l’ultima corsa, da tre giorni la festa riempie le case dei baarioti d’allegria e speranze, tra alborate, tammurinate, bande musicali,
giochi di fuoco e cantanti, ma la corsa dei cavalli è la festa più attesa, la più desiderata! Il sole rosso è ormai dietro la montagna di Giancaldo, la folla è stanca ma trepida per l’ultima corsa, quella della “bandiera”: i cavalli, cinque, partono tra l’entusiasmo generale, le luminarie sono già accese, il caldo è ancora più afoso, Padre Sammarco in chiesa scalpita come i cavalli, i fedeli stanno tutti fuori, San Giuseppe è circondato dalle vecchiette in nero. Lo schiocchio dei frustini, le “zotte”, tagliano l’aria pesante, i fantini sulle staffe sembrano volare, sono leggeri come l’aria, i cavalli galoppano, l’asfalto brucia, la schiuma bianca bagna il manto equino, “Stella” è attardato, “Patrizia” sbanda, “Robby” è lanciato per lo sprint, “Ciaca” ha rotto e tra una marea di gente esce “Nastro Azzurro”, splendido sauro montato da un picciriddu, è lui che vince, è lui che fa straripare la gente verso il “Palazzo”! “U picciriddu” vinciu l’ultima cursa!, l’ultima bandiera. L’ultima corsa disputata per la festa di Bagheria ad agosto del 1998!
Ps. Per decreto prefettizio non si possono più disputare le corse dei cavalli durante la festa, si temono disordini e inquinamenti
vari…
Giuseppe Morreale
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