A pranzo con Sciascia La sala era piccola e il “ciavuru” la riempiva tutta…

La trattoria era lì, di fronte alle Scuole sulla strada per lo Stadio che portava alla Caravella. Macchie di alberi di limoni ancora coloravano di verde quella zona ormai mangiata dal cemento. Giù spiccava la cupola della Basilica di Santa Flavia, alla sinistra il Monte di Solunto con le rovine
ammucchiate.

Aprile, il sole era caldo, sembrava di essere già a luglio! Un pezzo di Bagheria e noi nel mezzo. La sala era piccola e il ciavuru la riempiva
tutta, il menù era per tutti uguale: uova ciurusa, sarde salate, olive nere, l’antipasto, pasta con le sarde, mollica atturrata di sopra per primo, polpettine di neonata fritta, alici e sarde fritte per secondo.

Tutti i tavoli erano occupati, Santino correva senza sosta tra la cucina e la sala, la gente lo chiamava:- “…Santino porta un litro di vino rosso…”, -“…porta un poco di pane e l’olio per l’insalata…”, -“…talè Santino…vedi se ci sono quattro calamaricchi…”.

Le tovaglie a quadratini rosse e bianche erano un colpo d’occhio, la porta che dava sulla strada era aperta e arrivava una brezza d’aria fresca, ad Aspra soffiava il Maestrale. Il nostro tavolo era all’angolo, con me c’era Nicola, Franco e Ciccio, la banda Barzetti, tutte le trattorie della Sicilia erano state calpestate dalle nostre suole, da Partinico a Catania, da Montelepre a Messina, dalla Zà Maria ai Pirtusa. Mangiavamo e chiacchieravamo, del Palermo che non andava in A, di Berlinguer e Almirante, del Papa, della mafia.

Nicola era posapiano, mangiava col suo tempo, io non stavo mai fermo, Franco stava con la testa calata, Ciccio era polemicoso:- “…ma chistu pisci friscu è?…a mia non mi convince!…”-. Accanto a noi erano sedute tre persone dal portamento serioso, con giacche e cravatte, anche loro mangiavano e parlavano, parlavano e mangiavano, chiossà di nuatri!- “…Nicò…talìa a stu cristianu, mi pari conoscente…”,-“…seh…tu parli e Franco si sta mangiando tutti i calamara!…”.

Guardavo con curiosità e insistenza verso quel tavolo, quando uno dei tre con la mano mi fece segno di avvicinarmi e io m’avvicinai. –“…ora ci sugnu, ecco chi è lei, l’avevo riconosciuto ma ero incerto, lei è Leonardo Sciassia, lo scrittore!…Nicò u viri…è u signor Sciascia!”.

Ci siamo presentati e lui chiamò a Santino e unimmo i tavoli. Con Sciascia c’erano Michele Pantaleone e Vincenzo Consolo, altri due grandi personaggi della cultura siciliana, il Pantaleone, senza alcuna paura aveva fatto sempre la guerra con le parole ai mafiosi, il Consolo descriveva e raccontava la Sicilia del dopoguerra con passione e tanta realtà.

Che tavolata, tra pesce fritto e vino bianco freddo, e tutti che fumavano, una lenta e una pigghia, tutta la sala annigghiata di fumo. Io avevo letto Sciascia, il suo “Giorno della Civetta” lo sapevo a memoria e così pure “A ciascuno il suo” e così tra triglie col pitrusinu e sgombri arrostiti parlammo di tante cose. –“…caro Pinuzzu io vengo spesso a Bagheria, qui mi piace tutto, la
gente, le ville, qui ci venivo a mangiare con Renato e Ignazio, qui ho conosciuto a Scianna artista della fotografia, qui mi sento al centro della Sicilia e la Sicilia è al centro del mondo! Qui mi sento come quando sono alla Noce a Racalmuto”.

Nicola da un vassoio pescava polpi maiolini murati, io mi perdevo dietro alle parole di Sciascia. –“…Professore mi racconta quando sceneggiò il film
“Bronte, cronaca di un massacro”. –“…mizzica ti ricordi di questo film?…fu girato nel 1972 e suscitò polemiche che alla fine lo fecero sparire.

Il regista era Florestano Vancini e subì una specie di ostracismo e io ebbi una garbata polemica coll’allora preside di Lettere di Catania e Storico Giuseppe Giarrizzo sul modo di trattare gli avvenimenti storici.

Lì si trattò di un massacro e Nino Bixio operò senza rendersi conto che ammazzò un povero Cristo, lo scemo del paese che aveva scambiato la rivolta per un gioco. Pantaleone, comunista di ferro attaccò a parlare con Franco di “mafia e politica” il suo primo libro che ebbe l’onore della prefazione di Carlo Levi e la “benedizione” di Don Calò.

Un piatto di trigghiulella dorata riportò tutti al silenzio. –“…caro Pinuzzu sai qual è lo scrittore che più mi annagghiò?…Tolstoj! E attìa quale ti pigghiò di più?-“…Professò a parte i suoi a me è piaciuto assai assai “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa”. –“…bello, pure a mia mi piaciu,
è siciliano come me, come attìa, come a nuatri! Noi siamo gli italiani esagerati! Che caratteri, paremu l’Etna, scoppia, s’astuta,
s’arruspigghia, fa scantari, piaci, fa chianciari, tutti lo talìano,
tutti ci vogliono andare a vederlo!”.

Santino, il cameriere portò un’altra bottiglia di vino bianco, gocciolava, era Corvo, bianco di Salaparuta. Ciccio e Consolo brindarono al nostro incontro. “…professore ma della politica cosa mi dice…ah…!-“…la politica è come un macigno che pesa, tanto, sulla coscienza dei nostri governanti, oggi lo stato italiano non esiste. Per me lo Stato coincide con la Costituzione e la Costituzione in questi ultimi tempi si va spappolando, nel Parlamento
sono anime morte che stanno lì a fare numero, non chiedono parole, non hanno mai un pensiero proprio, il potere non è nel Parlamento ma altrove.

E stanno tutti lì, come il cane attaccato al portello!”. Che personaggi, che giornata, che mangiata! Sciascia svampa e parla, ti illumina, sulla Chiesa, sulla mafia, sulla Sicilia e la sua storia, su Pirandello che prima detestava e poi amò tanto.

Parlò di Telesio Interlandi un altro siciliano di gran talento, una delle penne più maledette del fascismo che dirigeva “la difesa della razza”, ed insieme al mistero di Raymond Russel e alla scomparsa di Ettore Majorana sono tra le contraddizioni più drammatiche dei segreti siciliani. Una decina di cannoli appena fatti, poi una cassatina e ripiombò nel silenzio quel tavolo disordinato, bottiglie vuote, cravatte slacciate, fumo, tanto fumo, e gli
altri tavoli vuoti, Santino che ci taliava e tistiava, stava già scurannu!-“…sai, mi piace un sacco Fellini e a te?…”-“…al cinema vado spesso, sarò banale ma mi piace Sergio Leone, ma se andiamo sull’impegnato Francesco Rosi, “Mani sulla città” e poi “Salvatore Giuliano”…”. –“…e pi picca ti lassi iri! Sergio Leone è stato un genio, ha portato l’America a Roma e il suo “C’era
una volta il West” o “C’era una volta in America”, sono pietre miliari e dicono molto di più di sparatorie e bande di criminali.

Rosi è “Salvatore Giuliano”, solo lui poteva fare quel film e in quel periodo, il 1961 e a me mi criticavano perché avevo scritto del capitano Bellodi nel “Giorno della Civetta” come di un paladino cher voleva sconfiggere il drago. Oggi sono stanco, spesso esco con Michele, con Consolo, con Bufalino, vado alla Noce, tra vento e fichidindia e ripenso alle mie opere che hanno girato
il mondo. Sai io a Parigi sono più amato di qua! E qui la linea della Palma porta sempre al Nord. “Siamo fatalisti come gli arabi, siamo pessimisti di natura, è il nostro modo di essere siciliani e non aveva torto il tuo “Gattopardo”, quando diceva che la Sicilia è irredimibile, perché anche per me Palermo è irredimibile…”.

Ci portano l’amaro siculo, l’Averna di Caltanissetta, le sedie sono alzate sui tavoli, Santino sta scopando, in cucina Alfredo ha chiuso, il nostro tavolo continua a parlare, tra fumo e sonnolenza, qualcuno ha gli occhi a pimpinella, il Corvo ha beccato.-“…caro Pinuzzu i siciliani, tra loro, sono diversi, sai, nel “Consiglio d’Egitto”, il Vicerè fa una domanda: come si fa ad essere siciliani? Come si fa a sopportarlo? Come si fa a vivere essendo siciliani? Rispondi se ci riesci! Talè amuninni, caficimu scuru e qua devono chiudere e poi abbiamo chiacchierato tanto.

Mi ha fatto veramente piacere conoscervi, siete buone forchette e bravi picciotti, poi quello fuma più di me, picciotti grazie per la compagnia, grazie di tutto e arrivederci, ah…siete stati miei ospiti…”. E indossando il suo cappotto grigio, la solita Dunhill in bocca uscì insieme ai suoi amici dalla trattoria.

Fuori il vento era abbacatu e portava un profumo di nespole e gelsomino, era il suo tempo. Era l’aprile del 1988. “Il mare colore del vino”, “Todo modo”, Le pietre di Regalpetra”, “La strega e il capitano”, “Il contesto”, “Porte aperte”, “Una storia semplice” queste e tante altre opere per il cinema, il teatro, sempre alla ricerca della verità, scomodo, pessimista, dilettante dell’antimafia, con vocazione europea, esempio per la giustizia, seppe unire ragioni della ragione e ragioni del cuore, il 20 novembre 1989 morì lasciando un vuoto che a distanza di 31 è ancora grande, per un
grande siciliano in meno.

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