L’appuntamento al Palalberti di Barcellona 13-14 febbraio, due giorni di combattimenti dove tutte le Società siciliane (ma anche qualcuna calabrese) si sono confrontate sui tappeti di gara, per conquistare il Titolo Regionale Cadetti A –B e Junior. Le due società bagheresi, l’A.S.D. CHAMPIONS TKD LO IACONO e l’A.S.D. TKD OLYMPIC’S GLADIATORS ormai veterane, dovevano riconfermare le ottime prestazioni degli anni precedenti. Così è stato, la storia si ripete, e Bagheria vanta ancora una volta il primato regionale in questo sport I CHAMPIONS del maestro Francesco Lo Iacono ( ) conquistano il 1° posto nella categoria Cadetti A combattimenti per il terzo anno di fila, mentre i Gladiators del maestro Filippo Clemente mancano per un soffio il podio dei Cadetti B arrivando 4°. Le medaglie portate a casa sono tantissime e i giovani atleti bagheresi hanno dominato in quasi tutte le categorie. Cadetti A (A.S.D. CHAMPIONS TKD LO IACONO) Maggiore Gioacchino, Fricano Venera, Fricano Roberta, Errante Alessandro, Troia Giuseppe, Di Giacinto Lorenzo, Nuccio Erika. Pandolfo Gabriele, Cammarata Matteo, Abbate Giuseppe. Junior (A.S.D. CHAMPIONS TKD LO IACONO) Sparacino Roberto, Di Leonardo Giuseppe e Porrello Vincenzo. Cadetti B (A.S.D. TKD OLYMPIC’S GLADIATORS) Giovanni Navarra, Giovanni Caputo e Giuseppe Ventimiglia. Cadetti A (A.S.D. TKD OLYMPIC’S GLADIATORS) Federica Morreale, Gabriele Tamburello e Christian Lo Iacono. Aiello Francesco, Aldo Polizzi, Federico Carollo e Mariadonata Di Cristina. Chiara D’alessandro, Marco D’alessandro e Giuseppe Celauro.
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Cracolici ed il sindaco di Bagheria.
L’assessore all’agricoltura nel recente passato è stato molto duro nel giudicare l’azione di governo del Presidente Crocetta, per questo dalla sua attività di governo ci aspettiamo significativi cambiamenti di rotta e risultati concreti. Cracolici ha a disposizione oltre due miliardi di euro da spendere nei prossimi 5 anni, più di 1/3 dell’intero plafond di fondi comunitari, che fra l’altro sono gli unici disponibili per innescare dinamiche di sviluppo. Oltre le risorse l’Assessore ha a disposizione l’operatività del nuovo PSR, uno strumento che, per sostenere l’agricoltura, punta sulla filiera agroalimentare; tutti sanno che le nostre produzioni non possono reggere alla concorrenza che viene dall’altra sponda del mediterraneo, che, se vogliamo contenere il fenomeno migratorio che comincia a dare problemi alla stessa tenuta democratica dell’Europa, probabilmente è destinata a crescere, per questo puntare sulla filiera, sulla qualità, sull’integrazione con la trasformazione e la commercializzazione è di importanza strategica. Puntare sulla filiera significa prima di tutto puntare sulla qualità e sulla tracciabilità, quindi occorre dare largo spazio al biologico, puntare sulle caratteristiche sanitarie, organolettiche e nutrizionali, saper comunicare bene il valore delle nostre produzioni, raggiungendo in modo capillare il consumatore, partendo dai sei milioni di consumatori siciliani. Occorrerà lavorare seriamente sull’affermazione di un marchio “made in Sicily”, che certifichi la produzione e la lavorazione in Sicilia, i protocolli di coltivazione utilizzati e le caratteristiche dei prodotti, a queste produzione andrà riservato il necessario spazio nelle mense scolastiche e universitarie, negli ospedali, nelle catene distributive, a questo prodotto vanno riservati i mercatini e i luoghi di vendita dal produttore al consumatore. Se entro la fine del suo mandato cominceremo a vedere nei bancali dei supermercati e nei punti vendita dei principali attrattori turistici olio, vino, bibite e liquori, pasta, pane, biscotti e dolci, salsa, latte e latticini, carne e salumi, prodotti ittici, succhi di frutta, marmellate e prodotti ortofrutticoli made in Sicily, se nelle mense e nei ristoranti troveremo manifesti che certificano che il 60% di quanto somministrato è stato prodotto e lavorato in Sicilia, allora Cracolici avrà onorato le aspettative. Questo impegno, per una filiera corta ed integrata, andrà sostenuto dal rigore sui protocolli di coltivazione e produzione, da un rigore ancora maggiore sul controllo delle caratteristiche sanitarie e nutrizionali dei prodotti di importazione, da una campagna di informazione capillare e di alto livello, dall’integrazione con la filiera turistica e dei beni culturali-ambientali, da una organizzazione efficace ed efficiente del commercio elettronico. Data la vetustà degli operatori del settore, Fornero permettendo, nel settore si potrebbero aprire buoni spazi per l’inserimento lavorativo di giovani che dovranno essere formati e supportati, per adeguare le aziende ai necessari standard produttivi, ma anche per recuperare produzioni tipiche e tradizionali che possono garantire valore aggiunto . Ai giovani imprenditori vanno assicurati servizi reali, a partire dalla viabilità interpoderale per arrivare all’acqua ad uso irriguo, smantellando baracconi clientelari quali il Consorzio idro-agricolo ed i consorzi di bonifica, andrà garantita assistenza tecnica accorpando , sfoltendo e decentrando nel territorio i vari enti preposti (ispettorati, enti, condotte ed istituti vari) puntando sul rapporto con l’Università e gli Istituti tecnici e professionali per l’agroalimentare. Il mondo delle campagne attende segnali precisi anche sul terreno della lotta agli sprechi ed ai privilegi, solo così si possono trovare risorse adeguate per il sostegno alla produzione e per creare nuova occupazione, occorre prendere il toro per le corna, a partire dalla vicenda forestali. Se un extracomunitario prende 30 euro per una giornata di lavoro ed un operaio qualificato ne prende 50, va bene darne 70 ad un forestale, garantendogli anche pensione ed indennità di disoccupazione, ma occorre avere la garanzia che vengono assunti quelli che servono (secondo parametri nazionali ed europei) e quelli che servono si debbono guadagnare onestamente quello che ricevono, tenendo in ordine le aree attrezzate, rendendo fruibili le aree naturalistiche e realizzando seri presidi anti-incendio. Una sponda a Cracolici dovrà essere data dagli amministratori locali, per l’istituzione di parchi agricoli, per l’infrastrutturazione delle campagne, per la valorizzazione dei beni culturali ed antropologici legati alla cultura contadina, per la sponda da offrire nelle istituzioni scolastiche, socioassistenziali e negli spazi pubblici per la vendita, per l’istituzione dei dop e docu. Non sappiamo come andrà a finire coi problemi legati alla sanatoria del sindaco, la legge può non piacere, forse in questo caso occorrerebbe cambiarla, ma fino a quando c’è va applicata. Dal sindaco ci aspettiamo meno proclami e più azione amministrativa: per la difesa del cimitero monumentale, attuando l’espansione ed evitando ulteriore cementificazione; per il pieno funzionamento del depuratore ed il riciclaggio dell’acqua ad uso irriguo; per un sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti che valorizzi l’organico, abbattendo i costi e dando trasparenza alle procedure; per l’utilizzo dei beni confiscati; per la rapida e piena attuazione del nuovo PRG, agendo seriamente sui temi del verde pubblico, della mobilità, dei parcheggi, del riuso della aree dismesse e la riqualificazione delle periferie, dell’edilizia scolastica e sociosanitaria. Non possiamo continuare a vedere un Patto regionale che prevede oltre 200 milioni di euro per interventi di riqualificazione urbana a Termini Imerese e nemmeno un euro per Bagheria. Almeno il 60% delle famiglie bagheresi, negli anni 70 ed 80, è stata costretta a farsi una casa abusiva, siamo stati costretti a farla da una classe dirigente (che purtroppo qualcuno rimpiange!) che ci ha lasciato per decenni senza piano regolatore, non consentendoci , quando si vendevano i verdelli a mille lire a chilo, di costruire regolarmente una casa per noi e per i nostri figli. Chi non ha peccato scagli la prima pietra! Le colpe dei padri non ricadano sui figli (neanche quelli di Boschi), ma nel contempo servono amministratori competenti, onesti, leali, umili, misericordiosi, sobri ed equilibrati, così li sceglievano nell’antica Grecia, nella Polis, lì nasceva la politica, a quei valori bisogna tornare se vogliamo dare alla politica la dignità che merita.
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NOTA DELL’ASSESSORE LUCA TRIPOLI
Intervengo sulla questione della casa dei miei genitori che è stata sollevata da un programma televisivo di intrattenimento perché tengo a sottolineare alcuni aspetti importanti che potrebbero passare inosservati. Intanto preciso che l’abitazione di mio padre non è una villa di 150 mq ma una modesta abitazione di 72 mq oltre una veranda aperta. In secondo luogo il fatto che l’ufficio tecnico del Comune di Bagheria, di cui io sono amministratore, abbia respinto la richiesta di sanatoria presentata da mio padre, dimostra in modo chiaro ed inequivocabile la totale autonomia dell’ufficio competente ed il fatto che le nostre famiglie non subiscono un trattamento di favore rispetto a tutti gli altri cittadini. Dimostra che gli uffici hanno portato Avanti, senza alcun tipo di pressione, il provvedimento di comunicazione circa l’esistenza di motivi ostativi, abbiano fatto il loro dovere in totale autonomia, trasparenza e legalità. E’ chiaro che mio padre ora si troverà a dover decidere quali strade seguire rivolgendosi a dei legali, è una decisione che non devo prendere io ma un fatto privato della mia famiglia, sebbene comune a tante famiglie bagheresi. Nessuno ha mai nascosto nulla, e la dimostrazione che l’istanza di mantenimento degli immobili non sia stata accolta, parla chiaro. Noi agiamo seguendo i percorsi previsti, ancora di più ora che amministriamo. Un’amministrazione che non interferisce negli iter delle pratiche degli uffici per avere vantaggi personali è il segno che una politica diversa è possibile. La storia di questa città, e non solo di Bagheria ma di molte città siciliane, e direi addirittura del Sud Italia, è nota. A Bagheria c’è stato un vero e proprio sacco edilizio. Persino l’aula consiliare del Comune, luogo per antonomasia del massimo organo di rappresentanza dei cittadini è stata edificata a ridosso di Villa Palagonia, alcune scuole sono state costruite abusivamente, centinaia di appartamenti sono stati costruiti a fini speculativi e persino i parchi delle ville settecentesche sono stati lottizzati in passato. Quando si realizzano interventi edilizi in assenza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività si commette un abuso edilizio, ed era così diffusa questa pratica nella nostra 2 terra che le leggi stesse hanno permesso, a causa delle lungaggini nell’ottenere i permessi, di potersi mettere in regola richiedendo i permessi di costruire in sanatoria. Non è corretto ma è stato così sinora. Quello che invece non è giusto: è sparare a zero su questa amministrazione comunale, con attacchi da parte di pseudo-politici di professione, che conoscono benissimo questo stato di fatto, che sono essi stessi proprietari di case abusive, che non si sono impegnati per lavorare a cercare di cambiare questo stato di fatto, che non hanno combattuto contro l’abusivismo. Attacchi verso un’amministrazione, ed in particolare verso il sindaco ed il sottoscritto, che hanno fatto avanti e indietro dagli uffici regionali per sollecitare continuamente l’approvazione della VAS del Piano Regolatore Generale, verso un amministrazione che sta lavorando per fornire un PRG innovativo, un PUM, un piano urbano di mobilità altrettanto innovativo e sostenibile, un’amministrazione che sta uscendo dal dissesto facendo salti mortali e lavorando senza sosta, un’amministrazione che non ha paura di denunciare illeciti, un’amministrazione che ha ripulito la città da cumuli e cumuli di rifiuti, un gruppo di giovani, cittadini prima che politici. Sull’attuazione delle norme non retrocederemo di un passo, neanche se a soffrirne saranno le nostre famiglie di cui però non vogliamo più parlare, dobbiamo esser d’esempio per la città e lo faremo. Luca Tripoli Assessore all’Urbanistica del Comune di Bagheria
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l’Arcivescovo di Palermo ricevera’ le 5 ragazze ospiti della casa di fuga del Progetto Maddalena,
Lunedi’ 15 febbraio p.v. alle ore 09.30, l’Arcivescovo di Palermo mons. Corrado Lorefice, ricevera’ presso la curia arcivescovile di Palermo le 5 ragazze ospiti della casa di fuga del Progetto Maddalena, assieme al fondatore della casa dei giovani don Salvatore Lo Bue, al vicedirettore Biagio Sciortino, agli operatori e volontari. Il progetto rivolto a donne vittime di tratta e prostituzione, e’ nato per volonta’ del cardinale Salvatore De Giorgi ed a tutt’oggi sostenuto dall’arcidiocesi di Palermo. Fin dal 2000 anno di attivazione dello stesso, il Progetto Maddalena e’ riuscito a sottrarre dalla schiavitu’ dello sfruttamento sessuale diverse decine di donne, quasi tutte extracomunitarie, accompagnandole in un percorso di fuoriuscita dal circuito dello sfruttamento, inserendole nel nostro tessuto sociale e lavorativo. tale incontro per testimoniare l’impegno sociale della diocesi di palermo nel proprio territorio.
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Carnevale, “una splendida festa da… vivere insieme”
Lo scorso sabato febbraio, come ogni anno, l’associazione pro-h Onlus “Vivere…vivere insieme” ha organizzato nei locali della stessa ubicati in via Città di Palermo, compl. La Sicilia la festa del “Carnevale 2016”, che contemplava a parte le solite danze, la gara del karaoke che ha visto impegnati, tanti dei nostri ragazzi e la gara dei dolci realizzati da tutti i genitori e non, che frequentano il nostro centro. La serata si è svolta in grande allegria e ha visto la partecipazione di molti “normodotati” che con la loro presenza hanno contribuito e contribuiscono quotidianamente ad una perfetta integrazione. Il giorno successivo, invece, grazie alla sensibilità dell’Assessore al Turismo, Sport e Spettacolo, del Comune di Bagheria, Romina Aiello una parte dei nostri ragazzi hanno avuto modo di partecipare alla sfilata delle macchine d’epoca, divertendosi e sentendosi parte integrante della manifestazione; e di ciò naturalmente un ringraziamento speciale va agli organizzatori che si sono dimostrati disponibili e felici di aver regalato un momento di spensieratezza.
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Giuseppe Di Salvo intervistato da Roberto Oddo. “Ho sempre amato come ho potuto amare e mai come avrei voluto”
rto Oddo intervista Giuseppe Di Salvo, fondatore, 40 anni fa, del Fuori!, primo movimento di liberazione omosessuale a Palermo e nel regno delle due Sicilie. Giuseppe Di Salvo è di Bagheria, un grande e importante comune proprio alle porte della città. Con tutto il vissuto che si porta dietro, e dentro, è una delle colonne del movimento nel palermitano. Quello con lui è un incontro ineludibile, con la sua verve polemica e per nulla accomodante, se si vuole comprendere che cosa significhi lottare qui per visibilità, dignità e diritti civili. Qualunque sia la posizione che si vuol prendere sulle parole di Giuseppe Di Salvo, dall’adesione totale alla distanza, intervistarlo significa confrontarsi con un pezzo della nostra storia (e ciò senza nulla togliere ai meriti attuali di nessuno). Ci siamo dati appuntamento una mattina di dicembre, subito dopo Natale, ma ha preferito rispondere alle domande per iscritto, questo spiega l’andamento poco dialettico o un po’ più schematico, o se si vuole semplicemente più ordinato, di quest’intervista. Giuseppe, come ti definisci come persona? Sono stato sempre un uomo perfettamente immobile. Non transito. Eppure il mio percorso evolutivo ha visto muovere le certezze desideranti di chi mi ha sempre guardato con desiderio; in breve: attraverso il mutare del mio corpo ho potuto osservare i cambiamenti dell’orientamento sessuale altrui. Va ricordato che i mie amanti sono stati quasi sempre sposati o si accingevano a farlo o pensavano di farlo per poi, in buona parte, divorziare. Due grandi amori ci sono pure stati. Ma, anche per la repressione, la vita finisce per disgiungere chi si ama. E allora? Ho sempre amato come ho potuto amare e mai come avrei voluto; del resto, chi vive come vuole? Come ti definisci in rapporto al “movimento arcobaleno”? Sono stato, a 23 anni, nel lontano autunno 1976 -siamo dunque quest’anno al quarantennale di quel grande evento storico striato di coraggiose e intense lotte pionieristiche- fra i fondatori del FUORI! di Palermo. Ci riunivamo nella sede di Vicolo Castelnuovo, numero diciassette. Ho in buona parte ricostruito quella nobile storia di lotte. Chi vuole può trovarla nel mio sito Tiscali “Giuseppe Di Salvo”: basta digitare la parola FUORI! in alto a destra e si resta impressionati; eravamo in pochi (io, Piero Montana, Salvatore Scardina, Franco Lo Vecchio, Rosabianca Colonna, Lina Noto, Anna Maria Schmidt, Benedetto Montenegro, Regina, Formica, Pippo Rinella…), ma abbiamo costruito un patrimonio di lotte che hanno davvero svegliato la città adagiata in un repressivo sonno dogmatico e mafioso. Pionieri di rispetto. Ci autofinanziavamo. Eravamo ospiti nella sede del Partito Radicale. Contribuivamo al pagamento dell’affitto. Il Partito di Pannella fu la prima organizzazione politica ad avere aperto le sue sedi agli “arrusi”. Si lottava con gioia per cercare di modificare la mentalità antigay e, all’alba degli anni Ottanta, già miravamo a realizzare il matrimonio anche per le persone dello stesso sesso. Sempre lungimiranti. L’arcobaleno è venuto dopo e, di tanto in tanto, riappare nel cielo, cioè nella Parate estive. Racconta la situazione delle persone LGBT in Italia dal tuo punto di vista. Palermo è stata sempre, tutto sommato, una città aperta. Sin dall’inizio abbiamo lottato contro tutte le istituzioni antigay presenti anche in città: polizia, manicomi, carceri, chiese (dico chiese e non chiesa!), partiti politici…: per il PCI avevamo il “vizio piccolo borghese”; per la D.C. eravamo malati e peccatori; per i fascisti dei casi clinici da relegare nei meandri della psichiatria. In pratica, lottavamo contro mostri nelle cui teste abbiamo agito con le nostre efficaci terapie: abbiamo fatto capire a tutti costoro che gli unici “malati” culturalmente erano loro. Palermo era la metafora dell’Italia e non solo. Oggi si lotta per codificare leggi positive per le persone LGBTI. Prima si lottava per togliere il pregiudizio e le leggi repressive e naziste: vedi articolo 28 del codice militare; chi, fino a tutti gli anni Settanta, veniva congedato con tale articolo non poteva accedere a cariche pubbliche. Poi, dobbiamo ringraziare il Codice napoleonico. Se dovessi riassumere, quali sono a tuo avviso i fronti su cui un attivista oggi si gioca la sua partita in Italia e, in particolare, nel palermitano? Dacché il FUORI! nazionale si è sciolto (eravamo intorno al 1982) sono nate, per fortuna, altre sigle. Tutte, parlo ovviamente di quelle sopravvissute, da oltre 35 anni, hanno creato utili strutture di servizio e di assistenza legale per le persone LGBTI. Ma va sottolineato un dato: l’Italia non ha ancora una legge sulle Unioni Civili. Il PCI, poi PDS, ora DS, ha messo tanti gay come fiori all’occhiello. Renzi gioca a rinviare e gode accarezzando il termine “tempistica”: è un emerito democristiano da Family Day. Ecco: il Movimento LGBTI, oggi, si deve sganciare da qualsiasi partito che gioca al rinvio o che usa i catto-nazisti per non concludere nulla. Loro, i parlamentari, hanno tutti i diritti che negano ai cittadini. Occorre essere più spregiudicati. Bisogna affossarlo questo PD. Occorre creare un Ordine Laico Nuovo e ribadire che la “sovranità popolare” appartiene a noi e che gli “eletti” possono essere trombati in qualsiasi momento. Io, pur essendo di tradizione familiare comunista del PCI, non ho avuto mai nessuna tessera di partito e rivendico la mia totale autonomia elettorale. I gay tutti, anche alle elezioni condominiali, devono fare valere la loro forza elettorale. Sì, dobbiamo essere lobby: i partiti devono essere a nostro servizio e non noi al loro. Se non fanno i nostri interessi, dobbiamo prenderli a pedate. Senza pietà! Quali sono, invece, a tuo avviso i grandi temi dimenticati delle battaglie dei movimenti LGBTQI? I gay politicizzati (o partitizzati) danno l’impressione di avere dimenticato se stessi. Devono frocializzare i partiti in cui militano o girar loro le spalle. I partiti sono mezzi, dobbiamo votare per chi porta avanti i nostri obiettivi politici. Il nostro voto deve essere pericolosamente mobile. Il qualunquismo è degli intruppati. Tu hai molta esperienza di quelli che sono stati gli inizi, laddove non c’era niente. Cosa potrebbe fare oggi un giovane che si trovi in un contesto isolato, dove non ci siano associazioni o punti di riferimento, se volesse dare un contributo? Noi, da pionieri, i punti di riferimento ce li siamo creati ex novo, dal nulla. E abbiamo pure contribuito a creare ottimi modelli. I gay di oggi si muovono su un tappeto che li porta facilmente verso la liberazione. Tutto sta nel concetto di coraggio e, purtroppo, come si sa, esso non può essere dato a chi non ce l’ha dentro. Chi non lotta contro i modelli culturali repressivi è complice di chi lo reprime. Magari va in chiesa: ecco i chierici luoghi della nostra laica concorrenza! Come vengono comunicate le battaglie del movimento negli organi di stampa ufficiali “generalisti”? Ormai i giovani, gay e non, hanno un mondo digitale che noi non avevamo. E sono più competenti di me. A loro viene facile trovare siti ed informazione alle loro esigenze adeguati. Noi, nel 1976, stampavamo volantini col ciclostile. Eppure facevamo breccia anche nei mass-media alla partitocrazia da sempre asserviti. I nostri organi di informazione rappresentano il riflesso condizionato della mafiosità partitocratica. Sta a noi saper essere alternativi e saper diffondere l’Informazione Corretta. Io posso dire che i miei siti sono molto seguiti. La gente mi legge. E trovo riscontro di ciò sia andando in giro per Bagheria o Palermo sia muovendomi dentro la rete. Detto ciò, cosa suggeriresti in termini di libri, film, spettacoli, materiale in rete a un giovane che voglia impegnarsi in queste battaglie? Su cosa dovrebbe formarsi. Chiunque dovrebbe leggere il Simposio di Platone e i frammenti di Saffo. Poi Sandro Penna, Pasolini e… me, naturalmente. Il resto? La vita stessa è guida. Fatta la tara degli ostili irriducibili, da quali obiezioni dei non attivisti “informati”, eterosessuali o LGBTQI, pensi che si possano trarre indicazioni o critiche utili? Dall’ etica della Chiesa cattolica: lì c’è espresso quasi tutto ciò che loro fanno, ma dicono e scrivono che non si deve fare. A parte le polluzioni (notturne o diurne) di cui la loro etica mai parla: altro che castità! Non esistono non attivisti, ognuno sa ciò che vuole e si “attiva” per realizzarlo. Noi lo sappiamo e siamo anche più bravi nel muoverci. Poi c’è chi ha bisogno di supporto psicologico. Ma vale an che per gli etero. Quali sono le associazioni e le battaglie NON-LGBTQI che un militante come te sente particolarmente vicine? Fine vita, eutanasia, fecondazione assistita… Personalmente, ho le mie riserve, ma le laiche leggi ci vogliono. I divieti non servono. Ogni cittadino deve poter scegliere. Poi si dovrebbe rivedere la legge Fornero: pensione a 60 anni per tutti. E i sindacati dovrebbero essere più incisivi; di fatto, la partitocrazia li ha sciolti. Cos’è la famiglia? Quanto è importante oggi per noi e perché ce ne stiamo assumendo la difesa? Ogni formazione sociale felice va sostenuta. E le famiglie sono tutte sacre. Noi lottavamo, anni Settanta, contro le famiglie patriarcali violente e repressive: io ho potuto lottare ed espormi senza problemi perché avevo dietro una famiglia che mi appoggiava; e altre famiglie amiche che mi sostenevano. Era tolleranza reale. Supporto. E anche i legami affettivi è giusto che vengano tutelati. Del resto, io amo anche gli “sposi di Dio”, purché capiscano che non sarò mai a loro immagine. E ho lottato per il divorzio: la famiglia che irradia libertà per tutti è quella in cui si conosce l’amore. Dove non c’è amore ci deve essere immediata dissoluzione. Per la felicità di tutti! In questo contesto, ma anche fuori di esso, lo stesso erotismo è comunicazione sacra a tutti gli Dei!
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Fare della Cosa Pubblica cosa privatissima!
Abbiamo sempre voluto credere fossero solo dicerie ma dopo averlo osservato direttamente dobbiamo amaramente constatare che il Movimento 5 stelle di Bagheria ha fatto della Cosa Pubblica cosa privatissima! Nella nostra Città si è insediata da due anni un’oligarchia che garantisce esclusivamente se stessa e coloro i quali sottostanno alle regole privatistiche dettate dalla casta. Come associazione attiva nel e per il territorio rappresentiamo tutto il nostro disappunto per ciò che è accaduto e denunciamo pubblicamente un’amministrazione comunale che continua a considerare il proprio ruolo di rappresentanza un posto di potere dove tutto si crede possibile. Il veglione della vergogna del 31 dicembre scorso e’ un esempio di come la bieca e sconsiderata degenerazione del potere possano tradursi in azioni che favoriscano interessi privati e business il tutto accompagnato dalla dovuta soggezione imposta alla componente gestionale del Comune sempre più succube di questo stato di cose. Le successive giustificazioni del sindaco e dei suoi assessori sono solo un modo per togliere il velo ad un’autocrazia costruita giorno dopo giorno, rispetto alla quale gli stessi organi di controllo sembrano diventati improvvisamente ciechi, sordi e muti. Come promotori di cultura il 4 gennaio del 2016 facciamo richiesta (protocollo n.187) per l’uso di Palazzo Aragona Cuto’ per organizzare un evento di carnevale da tenersi il giorno 7 febbraio. Il 15 gennaio trasmettiamo (protocollo n. 2881) un’integrazione alla richiesta su invito del responsabile del Palazzo che incontriamo direttamente non avendo ancora ricevuto a quella data alcun riscontro. Perdurando un silenzio preoccupante sollecitiamo un risposta con email inviate il 20, 21, 25 e 26 gennaio. Oltre a sollecitare, evidenziamo che questo ritardo non fa altro che impedirci la pubblicizzazione del nostro evento e, soprattutto, ne ha compromesso la stessa riuscita. Finalmente il 27 gennaio riceviamo un’email con la quale il responsabile del Palazzo ci comunica di avere trasmesso il proprio parere al dirigente del settore. Dopo il nulla. Non ci è stato possibile ne’ conoscere il parere espresso ne’ raggiungere il dirigente più volte contattato telefonicamente. Oggi, 4 febbraio, sono scaduti i 30 giorni entro i quali l’ente pubblico è obbligato a rispondere. Il tempismo e la trasparenza sin qui dimostrate dall’amministrazione sono la risposta alla nostra richiesta. In altre circostanze si parlerebbe di silenzio assenso, in questo caso potremmo definirlo “silenzio dissenso”! Ringraziamo calorosamente l’amministrazione comunale di Bagheria, rigorosamente a firma 5 stelle, per avere negato la riuscita di quello che sarebbe stato un importante evento culturale a beneficio della comunità, e il nostro ringraziamento è ancora più grande perché finalmente questa amministrazione ha tolto la maschera e si è mostrata nella sua vera essenza. Tutto il nostro biasimo al responsabile del Palazzo e al dirigente del settore per questa connivenza con un potere politico profondamente antidemocratico. Chiediamo scusa per avere fatto richiesta di una “proprietà privata a 5 stelle”, ma principalmente per avere rispettato regole e regolamento, ed infine per non avere pensato ad un evento di lucro.
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Bagheria tra Otto e Novecento. Importante convegno venerdì 5 Febbraio, alle ore 16,30, presso Palazzo Cutò.
Organizzato dall’Associazione Ex Alunni del Liceo Classico “F. Scaduto” di Bagheria, avrà luogo venerdì 5 Febbraio, alle ore 16,30, presso Palazzo Cutò, un Convegno su Bagheria tra Otto e Novecento, che intende proseguire il percorso di studio e approfondimento della società bagherese a cavallo dei due secoli, iniziato alcuni anni fa dal Lions Club Bagheria con il convegno su Padre Francesco Castronovo e la nascita della scuola a Bagheria. Il personaggio che verrà studiato questa volta è il Padre Giuseppe Formusa, Parroco nella Chiesa Madre dalla scomparsa, nel 1899, di Don Francesco Castronovo e lo scoppio della 1^ Guerra mondiale, ma verrà anche esaminata la società bagherese di quegli anni dal punto di vista politico, sociale, religioso, economico e della legalità. Il convegno vedrà quali relatori gli storici Antonino Morreale e Francesco M. Stabile, Giuseppe Aiello, Vincenzo Drago e Biagio Napoli. Il convegno gode del patrocinio del Comune di Bagheria e sarà presente l’Assessore alla Cultura e Pubblica Istruzione Romina Aiello.
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Un calendario in onore delle veline: “Il magico mondo degli incarti che avvolgevano i limoni”
Chi oltre mezzo secolo fa avvolgeva i limoni e le arance nelle carte veline manco lontanamente avrebbe pensato che quegli incarti in futuro sarebbero stati oggetto di collezione e di mostre. Era inimmaginabile che i fragili quadrati di carta velina usati per proteggere i succosi frutti da urti e accidentali lesioni durante il trasporto sarebbero diventati rarità e considerati forme d’arte popolare entrando a far parte del patrimonio immateriale e culturale. Oggi 12 di quei foglietti contrassegnano i mesi del 2016 in un bel calendario, ideato e curato da popolare personaggio bagherese collezionista di veline, e realizzato dalle Officine Tipografiche Aiello e Provenzano, una benemerita azienda bagherese che si distingue per l’elegante suggello che imprime ad ogni iniziativa sociale e culturale della città delle ville. Un calendario con 12 immagini dunque, tratte dalle veline che incartavano i limoni, tutte rigorosamente bagheresi. Ma per la dozzina di immagini che sono state immortalate, molte altre, almeno una cinquantina (erano oltre 60 le ditte che operavano nel territorio bagherese), sono rimaste in disparte. Non perché non meritassero la ribalta, ma per il semplice fatto che sono solo 12 i mesi dell’anno. Ci hanno detto che saranno oggetto di publicazioni future. E veniamo alle veline del calendario e alle ditte esportatrici in esse rappresentate. Queste dunque le dodici ditte esportatrici rappresentate nel calendario. Le immagini sono state selezionate fra le tante della collezione di Pietro Pagano in collaborazione con l’ associazione “Natura e Cultura” di Bagheria. Il calendario è preceduto da un testo del professore Pino Aiello, dal titolo ” Il grande viaggiatore”, corredato di immagini fotografiche acquisite da Publifoto, tratte sempre dall’archivio Pagano. in cui è descritta quella che era la società del limone con gli usi, i costumi, il modo di lavorare, l’esportazione, l’uso delle veline in città e dintorni. I leggeri involucri, oltre ad avere funzione protettiva, ben presto diventano un buon veicolo commerciale per destare la curiosità dell’acquirente, consentendogli anche di distinguere un frutto di alta qualità e pregio che, staccato dall’albero, veniva “lavorato” nel magazzino. “L’organizzazione del lavoro all’interno dei magazzini – scrive Pino Aiello -era costituita da moduli (puosti) ognuno con una capacità produttiva di circa ottanta casse (casci) nelle otto ore lavorative. Ogni modulo comprendeva due donne addette alla selezione dei frutti, quattro a incartarli (ammugghialli), un ragazzo addetto a porgere (pruoiri) i limoni incartati, un impacchettatore (mpaccaturi) e un addetto all’assemblaggio delle casse (aimmari i casci) e alla loro chiusura. Un magazzino di prestigio doveva lavorare almeno a cinque postazioni in modo da raggiungere una capacità produttiva di quattrocento casse in una giornata; quantità identificata convenzionalmente come vagone (vacuni) e corrispondente a 10mila kg. Per molti anni il contenitore utilizzato sia per il trasporto dalla campagna ai magazzini di Palermo che per la spedizione era costituito da una cassa (cascia) divisa in due scomparti. Un prodotto capace di assicurare così alti redditi, imponeva delle strategie di commercializzazione che rendessero il limone in grado di resistere ai lunghi percorsi che separavano l’Isola dai mercati mitteleuropei, d’oltremanica e addirittura degli Stati Uniti. I mercati verso cui erano esportati gli agrumi erano piuttosto esigenti in quanto a qualità e calibro dei frutti, d’altronde non poteva essere altrimenti visto il prezzo di acquisto. Attentamente selezionati e avvolti in carta velina, i limoni erano sistemati in suoli nelle casse a due scomparti, queste avevano dimensioni diverse per adattarsi alle necessità imposte dal calibro e dal numero di limoni che dovevano contenere. L’imballaggio era particolarmente curato anche nell’aspetto estetico, frange e paglia colorata incorniciavano questo scrigno di salutistici frutti che si presentavano nell’ultimo strato (the top) avvolti a fagottino in carta serigrafata col marchio a colori della ditta esportatrice”. Descrizione di tempi e riti lontani il cui ricordo va sbiadendo in chi li ha vissuto mentre i giovani ne ignorano l’esistenza. Possano le umili, fragili carte, documenti e testimoni di una epoca felice, insegnarci ad amare la nostra città con lo stesso amore con il quale è stata amata da chi ci ha preceduto.
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Un calendario in onore delle veline: “Il magico mondo degli incarti che avvolgevano i limoni”
Chi oltre mezzo secolo fa avvolgeva i limoni e le arance nelle carte veline manco lontanamente avrebbe pensato che quegli incarti in futuro sarebbero stati oggetto di collezione e di mostre. Era inimmaginabile che i fragili quadrati di carta velina usati per proteggere i succosi frutti da urti e accidentali lesioni durante il trasporto sarebbero diventati rarità e considerati forme d’arte popolare entrando a far parte del patrimonio immateriale e culturale. Oggi 12 di quei foglietti contrassegnano i mesi del 2016 in un bel calendario, ideato e curato da popolare personaggio bagherese collezionista di veline, e realizzato dalle Officine Tipografiche Aiello e Provenzano, una benemerita azienda bagherese che si distingue per l’elegante suggello che imprime ad ogni iniziativa sociale e culturale della città delle ville. Un calendario con 12 immagini dunque, tratte dalle veline che incartavano i limoni, tutte rigorosamente bagheresi. Ma per la dozzina di immagini che sono state immortalate, molte altre, almeno una cinquantina (erano oltre 60 le ditte che operavano nel territorio bagherese), sono rimaste in disparte. Non perché non meritassero la ribalta, ma per il semplice fatto che sono solo 12 i mesi dell’anno. Ci hanno detto che saranno oggetto di publicazioni future. E veniamo alle veline del calendario e alle ditte esportatrici in esse rappresentate. Gennaio, “Fratelli Martorana & Di Salvo; Febbraio, “Giuseppe Lo Meo, Marca Satellite Prima” Maggio, “Giuseppe Lo Buglio. I due contadinelli”; Giugno, “C.A.B. (Consorzio Agrumario Bagherese) Moro”; Luglio, “Filippo Scaduto (di Giovanni e Stefano Scaduto); Queste dunque le dodici ditte esportatrici rappresentate nel calendario. Le immagini sono state selezionate fra le tante della collezione di Pietro Pagano in collaborazione con l’ associazione “Natura e Cultura” di Bagheria. Il calendario è preceduto da un testo del professore Pino Aiello, dal titolo ” Il grande viaggiatore”, corredato di immagini fotografiche acquisite da Publifoto, tratte sempre dall’archivio Pagano. in cui è descritta quella che era la società del limone con gli usi, i costumi, il modo di lavorare, l’esportazione, l’uso delle veline in città e dintorni. I leggeri involucri, oltre ad avere funzione protettiva, ben presto diventano un buon veicolo commerciale per destare la curiosità dell’acquirente, consentendogli anche di distinguere un frutto di alta qualità e pregio che, staccato dall’albero, veniva “lavorato” nel magazzino. “L’organizzazione del lavoro all’interno dei magazzini – scrive Pino Aiello -era costituita da moduli (puosti) ognuno con una capacità produttiva di circa ottanta casse (casci) nelle otto ore lavorative. Ogni modulo comprendeva due donne addette alla selezione dei frutti, quattro a incartarli (ammugghialli), un ragazzo addetto a porgere (pruoiri) i limoni incartati, un impacchettatore (mpaccaturi) e un addetto all’assemblaggio delle casse (aimmari i casci) e alla loro chiusura. Un magazzino di prestigio doveva lavorare almeno a cinque postazioni in modo da raggiungere una capacità produttiva di quattrocento casse in una giornata; quantità identificata convenzionalmente come vagone (vacuni) e corrispondente a 10mila kg. Per molti anni il contenitore utilizzato sia per il trasporto dalla campagna ai magazzini di Palermo che per la spedizione era costituito da una cassa (cascia) divisa in due scomparti. Un prodotto capace di assicurare così alti redditi, imponeva delle strategie di commercializzazione che rendessero il limone in grado di resistere ai lunghi percorsi che separavano l’Isola dai mercati mitteleuropei, d’oltremanica e addirittura degli Stati Uniti. I mercati verso cui erano esportati gli agrumi erano piuttosto esigenti in quanto a qualità e calibro dei frutti, d’altronde non poteva essere altrimenti visto il prezzo di acquisto. Attentamente selezionati e avvolti in carta velina, i limoni erano sistemati in suoli nelle casse a due scomparti, queste avevano dimensioni diverse per adattarsi alle necessità imposte dal calibro e dal numero di limoni che dovevano contenere. L’imballaggio era particolarmente curato anche nell’aspetto estetico, frange e paglia colorata incorniciavano questo scrigno di salutistici frutti che si presentavano nell’ultimo strato (the top) avvolti a fagottino in carta serigrafata col marchio a colori della ditta esportatrice”. Descrizione di tempi e riti lontani il cui ricordo va sbiadendo in chi li ha vissuto mentre i giovani ne ignorano l’esistenza. Possano le umili, fragili carte, documenti e testimoni di una epoca felice, insegnarci ad amare la nostra città con lo stesso amore con il quale è stata amata da chi ci ha preceduto.