. In una vecchia fotografia dei primi del novecento, scattata dalla parte di Durante la prima guerra mondiale in quella costruzione è stata installata una cucina per i poveri del paese. Alla fine degli anni quaranta i vecchi che avevano vissuto quei periodi terribili, raccontavano che la cucina, con la mensa relativa, era frequentata da molte persone che altrimenti sarebbero morte di fame. Guardando dal corso Umberto si notava questa costruzione che interrompeva la via Salvatore Di Pasquale. In seguito, e ancora negli anni cinquanta e sessanta, la costruzione era ancora conosciuta come Al palazzo del cav. Branciforti originariamente si accedeva dalla via Quattrociocchi. Il palazzo a suo tempo era in comunicazione con quello dei Palagonia e con quello del marchese di Roccaforte. Purtroppo un bel giorno l’imponente edificio è stato demolito per far posto ad una costruzione anonima adibita ad uffici. Tra gli anni quaranta e cinquanta la “cucina economica” era un luogo di Bagheria, un punto di riferimento per i bagheresi. Lo spazio anti stante era da noi ragazzi usato come campetto di calcio: e le partite dura vano tantissimo tempo, dal momento che lo stesso non era attraversato da carri o da macchine. Nella piazza Indipendenza fervevano tante attività: la più caratteristica era quella del maniscalco. Alle pareti accanto alla bottega del maniscalco vi erano appesi tanti anelli di ferro: a questi veniva assi curata la corda che partiva dalla cavezza dell’asino o del cavallo che doveva essere ferrato. Quando il tempo di attesa si dilatava, gli animali impazienti scalpitavano. Agli animali veniva legata alla testa una piccola sporta (‘a coffa) contenente crusca o biada per una adeguata alimentazione. Era inevitabile la produzione di escrementi. Questi attiravano un numero considerevole di mosche le quali in fastidivano gli animali, che seguitavano a scalpitare, causando a volte qualche danno a persone o cose. Abbattere quella costruzione, però, trattandosi di una tra le prime del nucleo del paese, è stato come distruggere un pezzo della vecchia Bagheria.
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“Ciauru ri astrattu” nel racconto di Arcangela Saverino
Sulla rete abbiamo letto questo bellissimo post di Arcangela Saverino che abbiamo voluto pubblicare sul sito del Settimanale di Bagheria. Ci sono ricordi dell’infanzia che accompagnano la nostra vita e restano lì, in attesa di riaffiorare e raccontare l’identità del nostro popolo e le radici dalle quali proveniamo, troppo spesso dimenticate. A volte i ricordi sono legati ai racconti dei nostri nonni. Racconti, come favole, di antiche usanze che col tempo sono andate quasi perdute. In Sicilia, alcuni di questi ricordi sono legati alla preparazione dell’“astrattu” (il concentrato di pomodoro), una delle più antiche tradizioni della terra isolana. Un vero e proprio rito, tramando da madre in figlia, che accompagna generazioni di donne siciliane da secoli. Per i giovani, oggi, la fine dell’estate è un “dramma”, una piccola tragedia che fa rima con l’avvicinarsi dell’inizio della scuola. Ma c’è stato un tempo in cui l’inoltrarsi della stagione calda era un momento di allegria. La sera precedente al giorno di festa si andava a letto presto, senza fare storie, convinti che in questo modo l’alba sarebbe arrivata prima. La sveglia suonava alle sei, si caricavano le cassette di pomodoro sulle automobili e via, tutti in partenza per la campagna. Ognuno aveva il proprio compito, che andava eseguito in maniera precisa. Alla nonna il compito più importante, quello di dirigere i lavori, osservare, consigliare, richiamare. Alle donne più giovani il lavoro più faticoso, quello manuale. E poi via con l’allegria, con i canti e le risate. I più piccoli restavano incantanti ad osservare l’operazione di spremitura. Ma il divertimento più grande arrivava quando il succo di pomodoro, così ottenuto, veniva steso ad asciugare sulle “maidde”,assi di legno, esposte al sole per parecchi giorni fino a quando il piacevole venticello di fine estate diffondeva per la campagna “u ciauru ri astrattu”, l’odore dell’oro rosso di Sicilia, forte e intenso. Dolce e aspro allo stesso tempo. A questo punto toccava ai piccoli: affondare il dito sul concentrato di pomodoro ed assaggiarlo. Un gioco che richiedeva la complicità della nonna che faceva finta di non vedere. Oggi sono sempre di meno i siciliani che possono vantare di avere ricordi così preziosi. Ed è esattamente con lo scopo di “tramandare” alle generazioni moderne che, due giorni fa, ad Aspra (una borgata marinara di Bagheria, in provincia di Palermo) l’Associazione Culturale Altura, che si occupa di riqualificazione e promozione del territorio, ha organizzato l’evento Ciauru ri astrattu. Alle prime luci del mattino, 15 “fimmini” hanno stesso sulle maidde, disposte sul lungomare del borgo, il succo di pomodoro per farlo essiccare sotto i raggi di un sole cocente. Nel tardo pomeriggio, il preparato è stato raccolto nello “scanaturi”. Tanti i siciliani che hanno ripercorso con la memoria questo antico rito e che, quasi con commozione, hanno rivissuto i propri ricordi. Qualcuno ha contribuito con il proprio racconto personale, con le “storie di altri tempi”. In questa speciale giornata, il rosso dell’oro siciliano si è unito al blu del cielo. L’odore del mare si è mescolato a quello dell’astrattu, in un connubio assolutamente perfetto. I cuochi del territorio hanno mostrato in quali pietanze tipiche siciliane il concentrato di pomodoro risulta un ingrediente di fondamentale importanza. Fino a tarda serata, è stato possibile degustare piatti a base di estratto di pomodoro e vini siciliani. Margherite al sugo di astrattu, anciova con polpette di sarde, polipetti murati, bruschette con pesto di astrattu mandorle e ricotta di pecora, caponata di pesce con sugo di astrattu: sono alcune delle pietanze che hanno fatto godere le papille gustative dei presenti. Presso il Museo dell’Acciuga di Aspra si è svolto il dibattito “Il pomodoro incontra il mare. Cultura, tradizione, salute e sviluppo del territorio”, curato dall’Istituto per la Dieta Mediterranea (Idimed). E poi spettacoli, danze e musica in una vera e propria festa. Manifestazioni di questo tipo servono a ricordarci che la tradizione, soprattutto culinaria, è una delle arti di cui si è occupata l’umanità lasciandovi la propria impronta. Le tradizioni racchiudono l’identità di un popolo: ecco perché è importante tramandarle alle future generazioni attraverso il racconto e l’operato di quelle precedenti.
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La cucina secondo Domenico Pipitone
Naviga nei sapori e nei colori ed è innamorato della sua terra: , giovane chef siciliano, non ha esitato tanti anni fa, seppure a malincuore, a lasciare la Sicilia per perfezionarsi nell’arte della cucina, una passione che l’ha sempre accompagnato sin dalla tenera età, nell’osteria della nonna materna a Milazzo. Una valigia piena del calore del sole, l’azzurro del mare, il profumo del gelsomino e tanta voglia di rivedere la sua terra. Ed è qui, in Sicilia, che Pipitone è ritornato, ha indossato il grembiule e il cappello da chef, impegnandosi a far conoscere attraverso i piatti della tradizione, rivisitati tra colori vivaci e profumo di fiori, i prodotti del territorio. Come nasce la passione per la cucina? Sin da quando ero piccolo ho mosso i primi passi nell’osteria della nonna materna a Milazzo. Lì ho cominciato a familiarizzare con i piatti siciliani e con le materie prime della nostra terra. La cucina è qualcosa che porta a confrontarti sempre con te stesso, a sperimentare abbinamenti, giocare con i sapori e con i colori: è una passione dinamica, ma che non ti stanca mai. Per me poi è fondamentale in ogni piatto mantenere una costante distintiva: rappresentare a 360º la mia terra, la Sicilia con i prodotti della tradizione. Nella realizzazione dei miei piatti, tuttavia, non posso rinunciare alla fantasia e alla creatività, per questo motivo nell’impiattamento prediligo toni brillanti e contrasti floreali. Più che una scelta, è una filosofia sul modo di intendere la cucina. Da circa dieci anni, infatti, a questa passione, che è diventata la mia professione, affianco attività di ricerca e di approfondimento sulle materie prime del territorio. Ecco perché vado in giro per la Sicilia, cerco di scambiare riflessioni con gli “artigiani del gusto”, confrontarmi con agricoltori, produttori, visitare botteghe ed aziende. Fare cucina non significa solo stare dietro i fornelli, ma è anche vedere con i propri occhi l’origine e le specificità dei prodotti che utilizziamo. Ho affidato ai miei piatti una mission: tutelare e valorizzare l’enogastronomia Su questa scia è il progetto – che so completerà a breve – di un video sulla cucina siciliana Sì, ho deciso di realizzare questo video per raccontare i prodotti della Sicilia. Penso, infatti, che mostrare le materie prime attraverso le immagini sia la modalità più diretta ed efficace per rendere le persone maggiormente consapevoli delle fortune e delle bellezze che la terra ci regala. I giovani adesso ci credono, sono in tanti quelli che stanno cominciando ad avvicinarsi all’agricoltura, riprendendo la terra dei padri o dei nonni. Le idee ci sono, ora occorre saper rischiare, puntare anche all’innovazione e lasciarsi guidare dall’amore Il primo piatto firmato chef Pipitone Bisogna andare indietro nel tempo: era un timballo con le sarde, ma al posto della pasta ho messo il cuscus, ovviamente siciliano. Oltre ad essere chef, anche assaggiatore di olio extravergine di oliva Questa esperienza è nata circa sei anni fa: ho intrapreso un corso specifico, che mi ha permesso di conoscere in maniera minuziosa la storia dell’olio. Si tratta di un’attività molto delicata, ma che permette, specie per chi fa cucina, di fare abbinamenti che risvegliano il palato. In pratica, sono in grado di distinguere in un olio sia gli aspetti positivi che quelli negativi, sulla base delle proprietà organolettiche. Quale l’ingrediente al quale non potrebbe mai rinunciare Il pesce azzurro, simbolo della dieta mediterranea, ricco di omega3 ed economico. Un prodotto che, per le sue proprietà nutrizionali, non dovrebbe mai mancare nelle nostre tavole.
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La raccolta differenziata …resta una sconosciuta!
È di qualche giorno fa la notizia che, stando ai dati registrati dalla regione siciliana, la raccolta differenziata avrebbe raggiunto la rispettabile cifra del 20%. Forse è il risultato che l’Assessorato al ramo aveva auspicato qualche tempo fa, quando furono scoperti gli altarini, che gran parte della responsabilità dell’inefficienza diffusa, è del Governo regionale. Da più parti ci sono state smentite o accuse, nemmeno troppo velate, che i dati diffusi fossero taroccati o sopravvalutati. La realtà dei fatti darebbe altre indicazioni meno ottimistiche. Vero è che ci sono aree dove la raccolta raggiunge punte di assoluta eccellenza. Ma sono delle vere e proprie oasi. Piccoli centri dove è più facile differenziare la raccolta. Non siamo tecnici del settore, non abbiamo la pretesa di dare suggerimenti o indicazioni. Ci limitiamo ad osservare lo stato dell’arte, tanto nell’intera Regione, quanto nel nostro territorio, che è sotto il nostro sguardo. Ed esprimere le nostre alutazioni. Gli Enti locali, i Comuni e i Consorzi che si sono costituiti, a seguito della Legge Regionale che istituì gli ATO, non hanno Sempre a meno di qualche caso virtuoso, non sono partiti. Fu, invece, colta la grande occasione, con prontezza, con grande intuito, per istituire dei grandi carrozzoni clientelari. Assunzioni al di là dei fabbisogni, senza badare minimamente alla qualità del servizio da rendere ai Cittadini. Che dovevano pagare i costi viè più esorbitanti. Per oltre un decennio la Regione siciliana è stata silente e assente e anche consenziente. In perfetta linea con i criteri di gestione dissennata della cosa pubblica. Mai un richiamo, mai un appunto agli ATO più inadempienti. Fra cui anche quello che vedeva come capo fila il nostro Comune, l’ATO4. Quando la situazione è diventata insostenibile per il combinato disposto: costi altissimi e inefficienza, la Regione siciliana si è destata dal suo lungo torpore. La Legge attribuisce, infatti, alla Regione l’obbligo di individuare le aree per la costruzione delle discariche e degli inceneritori. Necessari per chiudere il ciclo virtuoso per lo smaltimento dei rifiuti che non sono recuperabili e In questo quadro così fosco e così confuso, tanti hanno fatto buoni affari. Buoni affari non certo a vantaggio di Imprese operanti nel settore, con trasparenza ed efficienza. È utile, è molto utile, avere conoscenza e contezza di quanto è successo fino ai nostri giorni. Le responsabilità, però, non possono essere ripartite in parti uguali. Da quando è in vigore la Legge che ha istituito gli ATO e le successive modifiche, per esempio, nel nostro territorio si sono succedute quattro Amministrazioni. Le prime due si sono conformate perfettamente all’andazzo del tempo. Costituire la struttura con i criteri di cui si è già detto e con i risultati che tutti abbiamo visto. Un tentativo di rompere gli schemi fu compiuto da Enzo Lo Meo. Ma si trovò davanti un muro di proporzioni enormi e un sistema di corruttela e cattiva amministrazione che non riuscì a scalfire. Anzi, accelerò la conclusione della sua esperienza, mediante la sfiducia in Consiglio comunale che pose la fine anticipata del suo mandato. L’Amministrazione in carica, presieduta da Patrizio Cinque, ha provato a porre qualche rimedio alla deriva. È andata avanti per tentativi. Non sappiamo se esiste un sistema efficiente per superare l’impasse. In linea teorica certamente sì. Ma stante la situazione generale di forti ritardi nella costruzione di inceneritori e discariche, presumo che il tempo dell’improvvisazione, dei tentativi per approssimazione, sarà ancora lungo. A mio avviso, il coraggio di rompere immediatamente, all’indomani dell’insediamento, il rapporto con il COINRES, ha prodotto effetti positivi. Tanti, almeno, si sono destati dal torpore. Vero che i presunti maggiori costi non sono ancora quantificabili, ma almeno il risultato tangibile è che un minimo di efficienza nella raccolta e nello smaltimento si registrano. Questo è quello che si vede, al di là delle opinioni, tutte rispettabili. Del si poteva fare meglio e di più. La Città è più pulita, non si trovano più le orribili cataste di rifiuti nei cassonetti. Metti pure che i Baarioti siamo, fuori dalle mura di casa, naturalmente ngrasciati, e poco rispettosi delle aree comuni. Le strade si spazzano poco o niente. Non è tutto un belvedere, ma qualcosa, almeno per risolvere l’annoso problema si sta facendo. La raccolta differenziata porta a porta avviata alla fine dell’estate scorsa sembra stia dando qualche risultato. La speranza è l’ultima a morire. Si diceva già tanti secoli fa. Articolo di Domenico Aiello (nella foto)
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Bagheria come Milano? – Il Bosco verticale e la vegetazione sui tetti fatiscenti
Si chiede Pietro Pagano, già assessore all’Urbanistica della nostra città e collezionista di immagini e cose belle di Bagheria. L’altro giorno ha postato su Facebook la foto di quello che viene definito il Bosco verticale, un complesso di due palazzi residenziali a torre progettato da Stefano Boeri nel capoluogo lombardo e impreziosito da una ricca vegetazione. Accanto alla foto dei due palazzi alti 110 e 80 metri, Pagano ha collocato le foto di due tetti di altrettante casette del centro storico bagherese, abbandonate e fatiscenti, su cui spicca una vegetazione spontanea che col tempo è diventata rigogliosa. Qual è l’installazione più bella? il complesso milanese situato nel Centro Direzionale di Milano o l’umile installazione bagherese realizzata dalla natura senza la mano dell’uomo? Peculiarità dei due palazzi milanesi costuiti nel 2009 e inaugurati nel 2014, è la presenza di ben 900 alberi di grande e medio sviluppo, 5mila arbusti di grandi dimensioni e 11mila piante floreali perenni e tappezzanti, per un totale di cento diverse specie, che si densificano in altezza sino a ricoprire un’area equivalente a due ettari (20mila metri quadrati) di forestazione distribuiti sui prospetti. Superfluo dire che la vegetazione apporta numerosissimi effetti benefici alle due torri e all’ambiente urbano circostante, sia sotto il profilo ambientale sia sotto quello climatico. Il Bosco Verticale, infatti, contribuisce alla costituzione di un microclima che genera umidità, filtra le polveri sottili (o ne devia il percorso), attenua notevolmente l’inquinamento acustico, depura l’aria sottraendo anidride carbonica dall’atmosfera ed emettendo ossigeno, protegge dall’irraggiamento solare attraverso l’ombreggiatura fogliare e ripara dal vento, attraverso l’azione frangivento delle fronde. Il Bosco verticale, definito “edificio alto più bello del mondo”, è risultato vincitore fra 800 finalisti dell ‘International Highrise Award, del museo di Architettura di Francoforte. Nella motivazione dei giurati è citata, tra le altre cose, la capacità di rispondere “al bisogno umano di contatto con la natura”. Si è aggiudicato anche il premio come «grattacielo più bello e innovativo del mondo», secondo una classifica redatta dal Council on Tall Buildings and Urban Habitat. Che dire dei tetti “rigogliosi” di Bagheria le cui immagini sono entrate a far parte del ricco patrimonio culturale che Pietro Pagano ama conservare? Il loro aspetto estetico e romantico che pure è suggestivo, non è detto che interessi a molta gente. Per il Bosco verticale di Milano molti hanno paventato la rovina dei palazzi per via di quegli alberi di alto fusto che vi crescono. Pare invece che non costituiscano sia alcun pericolo presente e futuro, mentre sembra non si possa dire altrettanto per i tetti delle casette bagheresi che rischiano di crollare da un giorno all’altro per lo stato di abbandono in cui versano e per le infiltrazioni di acqua piovana. Ci rimane solo la consolazione che le piante che vi crescono apportino un minimo di ossigeno in questa nostra città rigogliosa di cemento.