Categoria: cultura

  • Nuovo logo e nuova veste grafica per il magazine Pupi di Zuccaro

    11 anni dopo i Pupi di Zuccaro continuano la loro battaglia contro un inarrestabile svanire. ) fondato nel 2009 a Bagheria continua le sue attività rinnovandosi nella grafica e nei contenuti e sbarca con rubriche esclusive su Instagram. Da anni i fondatori, il bagherese Tonino Pintacuda e il palermitano Marco Bisanti, hanno intrapreso le loro carriere al di là dello stretto, rispettivamente a Milano e a Roma, mantenendo però uno strettissimo legame con la Sicilia. Un legame che è chiaro sin dal nome del magazine. 11 anni fa non vi furono dubbi: la sicilianità della rivista doveva essere chiara sin dal titolo. Ce lo spiega Pintacuda: “I pupi di zuccaro sono un ricordo degli anni più belli della nostra infanzia siciliana, chi aveva bisogno di Halloween quando c’era la Festa dei morti e il suo corredo di tradizioni? Quando penso alla notte tra il primo e il due novembre, subito sento odore di calia e simenza, del torrone e vedo loro: i pupi di zuccaro con pennacchio e armatura. Cavalieri di lucida glassa di zucchero, simbolo di quel legame indissolubile con le anime sante dei nostri morti. Erano i doni dei nonni per rinsaldare le radici dell’albero genealogico”. In questi primi 11 anni il portale si è arricchito di firme e collaborazioni: dallo scrittore e giornalista bagherese che poi s’è guadagnato sul campo la maglia da titolare, a Marco Viviani, Andrea Tuttoilmondo che ha recentemente fondato il quotidiano satirico – colonna del mai dimenticato 90011.it, il primissimo quotidiano online di Bagheria e dintorni. Il nuovo portale è ottimizzato per tutti i dispositivi e presenta un logo completamente rinnovato con una piuma che ha la forma stilizzata di una spada, per unire alla apparente leggerezza del raccontare, la lotta contro lo svanire di un certo modo di intendere la letteratura e le arti. Un magazine orgogliosamente siciliano ma fatto in giro per l’Italia. Molte volte la lettura è ridotta in foto posate di copertine e immancabili tazze e biscotti, per questo i Pupi dopo aver abbracciato e presidiato anche Facebook e Youtube, sbarcano su UN NUOVO MODO DI USARE INSTAGRAM “Per lavoro abbiamo sempre dovuto studiare e conoscere i meccanismi dei vari mezzi di comunicazione. Non avremmo potuto ignorare i social. E così abbiamo imparato ad usarli al meglio. La pagina facebook completa e arricchisce il magazine con aggiornamenti rapidi e segnalazione di eventi che appoggiamo con convinzione. Su Youtube collezioniamo perle introvabili di musica e teatro. Su Instagram abbiamo deciso di far debuttare una delle nostre rubriche più conosciute: La metafora viva, una riscoperta di poesie che meritano di essere rilette”, conclude Marco Bisanti.

  • Il colera nell’ultimo quindicennio dell’800. L’anno più infausto per Bagheria è stato il 1837 (sindaco Gesualdo Pittalà)

    Per essere in tema con la guerra che in Italia e nel mondo si sta conducendo contro il Covid 19 – ma senza con questo volere intristire i lettori – riporto alcune notizie che riguardano manifestazioni coleriche verificatesi nell’ultimo quindicennio dell’Ottocento. Come avviene ora per il Coronavirus, anche allora per il colera, le autorità nazionali, provinciali e locali dovevano prendere dei provvedimenti tempestivi per evitare al massimo il diffondersi delle epidemie. L’adozione di alcune decisioni spesso contrastava con le abitudini dei cittadini, vuoi per ignoranza, vuoi per cattiva volontà di uniformarsi alle restrittive disposizioni di legge in materia d’igiene. Durante l’Ottocento, diverse volte la popolazione italiana è stata colpita da quel terribile male che è il colera. L’anno più infausto per Bagheria, durante la sindacatura di Gesualdo Pittalà (1), è stato il 1837, tanto che, per la virulenza dell’epidemia colerica, si contarono circa 600 morti. Allora si dovette trovare un’apposita area alle falde del monte Giancaldo, con accesso dalla stradina dove c’è la Cappella delle Anime Sante (Aimmuzzi Santi), in Via Vallone del Fonditore. Nel 1867, ci fu un’altra epidemia colerica, nel corso della quale si diede molto da fare il dott. Giacomo Mancuso (2) che in seguito ricevette dal Re una medaglia d’argento al valor civile per il suo impegno dimostrato in quella circostanza. Durante il colera del 1837, il padre di costui, il dott. Stefano Mancuso, durante l’assistenza agli ammalati, isolati nel lazzaretto, era stato colto da alta febbre e ci aveva lasciato immantinente la vita. Nel triennio 1885-87, il colera fece molte vittime soprattutto al Centro Nord, ma anche da noi si registrò un certo allarme tanto che il G. di S. del 19 settembre 1885 pubblicò la seguente notizia dal titolo PALERMITANI RESPINTI: Riceviamo il seguente telegramma da Bagheria che pubblichiamo senza commenti – Bagheria 18 ore 12,55 – Oggi col treno delle 10, giunti i viaggiatori in Bagheria, la Commissione municipale fece entrare soltanto i paesani, respingendo i palermitani. Tale determinazione indegnò i viaggiatori anche per il contegno poco cortese dei componenti la Commissione suddetta. Due settimane dopo, il G. di S. del 6 ottobre 1885 pubblicò il seguente articolo dal titolo: Il colera in Aspra:- Il male è apparso in questa contrada, aggregata al comune di Bagheria, il giorno 22 settembre in persona di un pescatore che erasi recato a Palermo per pignorare alcuni suoi oggetti. Ha fatto piuttosto strazio, se si nota la scarsezza della sua popolazione. Sino a qualche giorno fa il paese era completamente bloccato, e la guardia di uomini armati, che ne impediva l’entrata, era fatta con molta vigilanza. Però, ora, grazie alle sagge disposizioni del Prefetto della Provincia, quegli ostacoli furono tolti. In cotesto bel sito per postura e per aria, vive una gente poverissima, che soffre, per la scarsezza di mezzi anche in tempi normali. Ma ora con le provvide misure prese dall’ottimo sindaco di Bagheria, cav. Antonino Scordato (3), onde venire in sollievo di tanti infelici, si è evitato, a tempo, che provassero la fame. …Il cav. Scordato si era distinto anche nell’epidemia del 1867. A cura di quel municipio, difatti, giornalmente vengono distribuiti a quei poveri di Aspra dei viveri: pasta, pane e vino. OMISSIS Qualche mese dopo, il nostro Comune deliberò di creare il CORDONE SANITARIO, come scrive il G. di S. del 3 novembre 1885 : È noto che non pochi paesi, sino dal primo apparire dell’epidemia fra noi, si sono circondati dai cordoni sanitari, per non fare entrare alcuno. Tra questi paesi è Bagheria. Ora, un funzionario di P. S. dovendo recarsi in Bagheria, fu respinto dalle autorità del Comune, appoggiate dal rispettivo cordone. Allora il funzionario tornò indietro e riferì il fatto al Prefetto, il quale lo rimandò a Bagheria, accompagnato da quaranta carabinieri a cavallo, bersaglieri e questurini, i quali giunti nel Comune, ordinarono il disarmo dei cittadini che stavano alla porta del paese ed il libero transito. La forza pubblica passò e il cordone venne levato. Ma per poco…poiché verso sera i cordoni erano già…ristabiliti. Ben presto l’epidemia colerica andò esaurendosi e, ad eccezione di qualche caso, per circa otto anni lasciò in pace la nostra popolazione. Verso la fine del 1893, infatti, il colera – che, a quanto pare, giunse dalla Russia – si propagò anche in Italia, ma alla resa dei conti si trattò ancora una volta di una forma abbastanza blanda tanto che il numero dei morti era da considerare irrisorio. Ce ne furono anche a Bagheria, ma lo vedremo più avanti. L’attutirsi del male era dovuto al fatto che si andavano intensificando gli studi batteriologici ed epidemiologici su questo terribile male. I comuni erano tenuti per legge a un maggiore controllo dell’igiene pubblica, e i cittadini ad una migliore tenuta dei pozzi neri. Il Giornale di Sicilia, in una serie di articoli firmati dal corrispondente Mefistofele (4) e pubblicati dai primi di settembre fino a oltre la metà del mese di novembre 1893, dà notizia non solo dei casi sospetti di colera ma anche dei deceduti a causa di essa. Ecco i nomi di questi ultimi che, a quanto si diceva, si trattava di persone che avevano avuto contatti con Palermo: Aiello Rosario di anni 43, Provenzano Salvatore di anni 35, Calì Francesco Paolo di anni 23, Caterina Greco di anni 2 e il padre di lei Giuseppe di anni 30, Brasotto Sebastiano di anni 42. Era tutto da leggere il pezzo del G. di S. datato 3-4-novembre 1893 dal titolo COLERA E SUPERSTIZIONE: Ieri (1 novembre) da Palermo veniva qui certo Domenico Speciale di Antonino, di anni 32, con manifesti sintomi di malattia epidemica. La madre, vedendo il figlio contorcersi per i dolori di ventre, credette che egli avesse gli spiriti in corpo, e pian pianino lo condusse nel vicino Convento di Sant’Antonino, ove stanno pochi frati, per farlo esorcizzare. Infatti, quei frati, saputa dalla donna la cosa, trassero il povero giovane in chiesa, lo fecero adagiare sulle ginocchia della madre, accesero i ceri, e si misero a fare orazioni e a cospargere la testa di acqua benedetta. Lo Speciale, però, sempre più in preda al male, pei forti dolori cadde dalle ginocchia della madre e si distese per terra contorcendosi. I frati avevano un bel litaniare; quelli non erano demoni, ma microbi, e ci voleva ben altro che orazioni e acquasanta! Finalmente la madre ricondusse il figlio a casa, in gravissimo stato; e quando i vicini la consigliarono di chiamare il medico, e questo venne a visitare l’infermo, il disgraziato Speciale era già morto! Il caso ha fatto una certa impressione nel paese; ma, considerato che lo Speciale si ammalò a Palermo, c’è tuttavia da confortarsi che qui non esiste e non si propaga il germe colerigeno . (5) VERSO L’ESAURIRSI DELL’EPIDEMIA – L’ultima nota del G. di S. la leggiamo nell’edizione del 18-19 novembre 1893 Col primo treno d’oggi (17) si è recato in questa il medico provinciale dott. Giardina, il quale, mentre in gran parte trovò lodevoli i provvedimenti deliberati e fatti eseguire da questa rappresentanza comunale, altro ne suggerì. Intanto, da ieri non sono stati denunziati altri casi di colera, e ciò ha sollevato lo spirito ) NOTE – (1) Sindaco dal 1° gennaio 1837 al 2 luglio 1849 – (2) Sindaco ff. dal 1878 al 1880 e assessore alla P. I. – (3) Sindaco nel biennio 1866-67 e dal 1881 al 1888 – (4) Pseudonimo di Beniamino Cosentino maestro nel periodo e Direttore didattico dopo la morte del sac Francesco Castronovo avvenuta nel 1899. – (5) Sindaco Alessandro Pittalà, in carica dal 1888 al 1900; lo era stato anche nel biennio 1880-81 – ( Per altre notizie sul colera e sulla storia in generale del nostro paese, si consulti il mio volume “Bagheria” Edit. Plumelia apr. 2018.

  • Palermo, visita a Villa Adriana e al Museo della Sicilianità

    con inizio alle ore 19,00 in via a cui seguirà un aperitivo in giardino, con degustazione di vino. L’evento, organizzato dalla Sede locale di BCsicilia di Palermo e dalla Coop. Sicilia L’isola dei Tesori si svolgerà nel rispetto delle norme per la prevenzione dal Covid-19. Per info e prenotazioni: 327.5608211. Torna a splendere nel cuore della la settecentesca villa Adriana, una delle più celebri residenze aristocratiche della campagna palermitana. Rimasta intatta nei secoli, pregevole per le decorazioni delle sale e per il lussureggiante giardino, la villa ospita oggi una prestigiosa raccolta d’arte contemporanea popolare, composta da più di 500 manufatti. L’evento prevede la visita alla villa, alle sale del piano nobile ed in particolare al grande salone da ballo, capolavoro del neoclassicismo a livello siciliano, sino ad oggi sconosciuto ai più. Nelle sale sarà possibile ammirare le opere del costituito Museo della Sicilianità, attraverso un allestimento che mette al centro la Sicilia in tutte le sue sfaccettature. Si raccomanda ai partecipanti l’utilizzo della mascherina.

  • Alia, lettura commentata “Apologia di Socrate” promossa da BCsicilia, Paideia e Comune

    sabato 11 luglio 2020 alle ore 18,00 E’ un breve ma molto significativo dialogo platonico, che parla del processo e della condanna di Socrate e contiene un grande insegnamento, perché c’è una imperturbabile calma negli argomenti razionali e lucidi con cui egli si difende e un senso e ragionato abbandono al Divino. La lettura sarà intervallata dall’esecuzione di alcuni brani musicali. L’evento sarà gestito in spazio aperto, rispettando le norme di distanziamento. Ingresso gratuito, previa prenotazione al numero 338.2982900.

  • “1943: la Reconquista dell’Europa. Dalla Conferenza di Casablanca allo sbarco in Sicilia”

    Biblioteca centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace” di Palermo , in collaborazione con “Balarm”, “Historia Palermo”, “World War two Memory Museum” e “Giambra Editori”, si terrà venerdì 10 Luglio 2020 alle ore 17,00 “1943: la Reconquista dell’Europa. Dalla Conferenza di Casablanca allo sbarco in Sicilia” , Direttore della Biblioteca centrale della Regione Siciliana, sono previsti gli interventi di , Docente di storia contemporanea presso l’Università di Palermo, . Letture a cura di Cinzia Carraro. Sarà presente l’autore. La presentazione si terrà nell’Atrio della Biblioteca centrale della Regione Siciliana “A. Bombace” in Corso Vittorio Emanuele, 429 a Palermo. Il 1943 segna la svolta della Seconda guerra mondiale. La notte tra il 9 e il 10 luglio non fu solo il momento dello sbarco degli Alleati in Sicilia ma anche il giorno in cui inizia la “Reconquista” dell’Europa, quella lunga rincorsa che si concluderà soltanto a Berlino e riporterà il vecchio continente nell’alveo della libertà e della democrazia. Ma è soprattutto la scelta operata a gennaio nella Conferenza di Casablanca della “resa senza condizioni” che determina il punto di non ritorno: dopo quella risoluzione nulla sarà più come prima. Attraverso il racconto degli avvenimenti, il libro ripercorre quanto accadde in quei mesi. A partire dalle premesse che favorirono l’incontro di Casablanca e i contatti tra gli alleati che portarono a una maggiore unità di intenti e obiettivi comuni, le ragioni degli assenti, ma anche di coloro che furono “costretti” a prendere parte alla Conferenza e, infine, le decisioni che ne scaturirono, consegnate alla storia con la dichiarazione finale e gli accordi per il proseguimento della guerra. Presente anche una breve cronistoria dell’evento: la ricostruzione giorno per giorno di ciò che avveniva nell’Anfa Camp, la zona militarizzata, creata appositamente e posta sotto la stretta vigilanza dai soldati americani, all’interno della quale si svolse l’incontro. Vengono descritte le conseguenze della riunione di Casablanca e le reazioni in Italia da parte del regime, della monarchia e del Vaticano, inoltre i motivi per cui gli Alleati scelsero di invadere la Sicilia e i complessi preparativi dell’Operazione Husky, il più grande intervento militare nel Mediterraneo. Immancabile, quando si affronta l’argomento, un capitolo sul ruolo della mafia nello sbarco, che ha visto per molto tempo contrapporsi tesi diverse, anche alla luce dei nuovi documenti resi disponibili dagli archivi militari. E infine il momento in cui si materializzano le scelte della Conferenza: l’occupazione del “ventre molle dell’Asse”, con gli Alleati che muovono il primo attacco alla “Fortezza Europa” e conquistano, in appena 38 giorni, l’intera isola. L’AUTORE: Alfonso Lo Cascio, Giornalista pubblicista, è da anni impegnato nell’ambito del volontariato culturale. Tra i fondatori di BCsicilia, l’Associazione a carattere regionale che si occupa di salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, oggi ne è Presidente regionale. Ha inoltre dato vita all’Università Popolare di Termini Imerese. E’ Direttore della rivista Espero che si occupa di cultura, politica, informazione. Già componente della redazione dell’autorevole rivista “Segno” e collaboratore del prestigioso settimanale “Centonove”, suoi scritti compaiono su diversi giornali e riviste. E’ stato inoltre direttore de “I racconti di Luvi”, quadrimestrale di Letteratura, poesia e cultura, e fondatore della Casa editrice Don Lorenzo Milani. Ha tenuto relazioni e interventi in molti convegni e tavole rotonde. Ha pubblicato: “Castelli e Torri della costa, da Termini a Solanto”, “Himerensis, Agenda dei paesi del termitano”, La riserva di Pizzo Cane, Pizzo Trigna e Grotta Mazzamuto”, “Ascuta lu cantu, antologia di poeti del comprensorio di Termini, Cefalù, Madonie”, “Un eroe semplice”. Per il suo impegno culturale gli sono stati assegnati i premi “Quattro arcangeli”, “Sikelè” e “Gaia”.

  • Al via “Cinema in Villa”, tre mesi di film sotto le stelle

    a disposizione degli esercenti di sale cinematografiche da giugno a settembre. L’iniziativa dell’Amministrazione Comunale, nell’interesse della comunità, sulla base delle proprie competenze e finalità sancite dallo Statuto, si propone di operare per la promozione e il potenziamento turistico, commerciale, artigianale, culturale e, soprattutto economico, del territorio bagherese, al fine di favorire la partecipazione, il coinvolgimento, la socializzazione della comunità bagherese e non. A tal fine, sarà realizzata, l’iniziativa a tutte le sale cinematografiche di Bagheria in forte crisi economica che preveda l’organizzazione di eventi e spettacoli di tale natura finalizzati ad attivare una rete di sale che possa portare al ritorno al consumo di contenuti sul grande schermo consentendo così di mantenere vivo il rapporto con il pubblico.

  • Editoria: “Alchimia della polvere” di Tommaso Romano

    Editoria: “Alchimia della polvere” di Tommaso Romano

    Alchimia della polvere. Aforisminattuali con Autoritratto feroce , edizioni All’Insegna dell’Ippogrifo, si rischia di redigere una biografia non autorizzata, o di esporsi perché la stessa può apparire una “benevolenza” o un’irriverenza, anche se il testo potrebbe sembrare una provocazione. Da qualche tempo coltivo il proposito di scrivere sul personaggio, non ho trovato l’occasione, anche se in diverse pubblicazioni di , le note biografiche sono a mia firma, queste sono essenzialmente dei curriculum vitae, che però mi pungolano a stilare qualcosa di più appropriato su di lui, con le difficoltà di non sapere da dove cominciare, su cosa meditare o quale punto sorvolare, il suo Autoritratto feroce, raccontato senza reticenza, certamente suggerisce la via. Le difficoltà nascono dalla sua poliedrica, strepitosa e impegnativa attività – docente, filosofo, poeta, pittore, storico, critico d’arte, recensore, politico, editore, scrittore multiforme (le sue opere letterarie si compongono di ammirati romanzi, saggi, biografie, recensioni), animatore culturale (organizza mostre, convegni, presentazioni, inaugurazioni, ha fondato riviste, creato premi letterari, compie interviste e programmi televisivi ha prodotto blog e siti digitali), ha ispirato la costituzione della Real Compagnia della Beata Maria Cristina di Savoia Regina delle Due Sicilie, (qualcosa di sicuro mi sfugge), tutti interessi e contributi significativi che lo distinguono dall’omologazione culturale, che generalmente porta tutti a seguire le stesse tendenze del momento, ma soprattutto perché spesso è una voce fuori dal coro, con un’arguzia a volte profetica e un’infrequente ma spiazzante ironia fulminante. Opera e parla con abilità con ammirevole equilibrio e con una vastità d’interessi, una figura ricercata e rappresentativa della cultura che riesce con impegno e determinazione a edificare anche se stesso sia nella produzione che nei rapporti con gli altri. Ha una facilità di concepire discorsi non conoscendo limiti o timidezze, coglie le idee nell’aria prima di chiunque altro, le vaglia le passa di mano e svolge lo sguardo altrove. Uno spirito esigente, autenticamente libero, svincolato da pregiudizi, poco incline alle confessioni, non soffocato dal politicamente corretto, ma ossessionato dalla trascendenza dal cosmo, dalla “Cosmovisione” o come lo definisce lui dal “Mosaicosmo” e dall’acuta In un certo senso è un avventuriero mi sono sempre chiesto se definirlo un investitore o un dissipatore, un collezionista o un accumulatore di libri e opere d’arte, se si va nei mercatini tradizionali dell’usato, la domenica mattina s’incontra magari mentre mercanteggia qualche “minuscolo pezzo” che nelle sue mani diventa un oggetto di valore. Con la sua poderosa opera letteraria si dimostra un eclettico pensatore, tutti gli siamo debitori di una riflessione, con la sua cultura enciclopedica, sembra che abbia letto tutti i libri che possiede, circa 30.000, infatti, afferma di avere una velocità di lettura non comune, “dorme poco, appena il necessario”, è capace di individuare affinità semantiche. Con queste armi, la chiarezza, la passione e l’eloquio mai sopra le righe non c’è competizione intellettuale che possa temere, stravince su possibili detrattori, ecco perché la sua partecipazione è particolarmente richiesta, con tutto ciò, rare volte risulta pretenzioso, tranne quando mostra la sua autorevolezza di un “altero” maresciallo in campo, sempre con i piedi per terra, con una distinguibile sovranità. “… cultura non è altro che il coltivarsi” è quanto afferma, Romano, che incita sempre a fare, a non fermarsi perché non si conosce il domani, come dargli torto, difficile non farsi contagiare, ma non è facile andarci dietro, meriterebbe di trovare più spazio, non solo nelle biblioteche di chi ha ricevuto suoi libri. Con velature di compiacimento e commiserazione sostiene di aver costruito mostri “caricature petroliniane di Narciso”, per le sue capacità di ammaliare, come un pifferaio, ha le sue truppe cammellate che lo seguono, magari per un loro tornaconto, “che girano a me intorno per stato d’interessata necessità”, oppure si “adattano senza consentire”. In Alchimia della polvere l’intensa prefazione di Roberto Pazzi è tutta da sottolineare, nella Nota introduttiva l’Autore mette le mani avanti per eventuali contraddizioni, una fortuna intercettarne qualcuna, e nella Postilla evidenzia che “alcuni di questi scritti sono stati pubblicati in siti internet, blog, in facebook”, come a dire, non si deve sprecare nulla di ciò che si è prodotto. Gli aforismi in genere sintetizzano verità in modo limpido, in forma rapida ed a volte paradossale “Si contradisse e fu intimamente, pienamente, consapevole di farlo”, svolgono la funzione di messaggi che invitano alla meditazione per sfuggire all’indifferenza e che ci accompagnano sulla via della riflessione e della serenità interiore e Romano ha ragione quando scrive che “non è una raccolta di aforismi”, perché i suoi sono proprie lezioni di vita, con essi in una sintesi estrema cerca di mettere equilibrio al trambusto filosofico, ciò induce a leggere e rileggere lentamente le mirabili intuizioni, gli approfondimenti perspicaci, concentrati in poche incisive righe. Negli Aforisminattuali c’è il sapere, il senso pratico, uno stile scorrevole e disinvolto, una lettura frettolosa non è attinente, né potrebbe bastare per notare gli accorgimenti grafici, né per mirare la meticolosa cura redazionale di Giovanni Azzaretto, refusi non se ne trovano neanche a cercarli. Romano vive la dimensione culturale tutti i momenti impiegando un prodigioso intelletto, una memoria eccezionale e una volontà ferrea, il suo segreto deve essere una disciplina interiore, una capacità di concentrazione, di astrazione dal rumore di fondo, un’antipatia innata per tutto ciò che gli sembra inutile, motivo per cui credo che soddisfazioni intellettualistiche se ne sarà prese a dimostrazione che il fare porta sempre a un risultato: “L’unicità dell’essere è data dalla volontà e dalle capacità di sapersi autodeterminare”. La noia è uno spreco che ignora, per coltivare le sue dedizioni con tale inflessibilità, “Per ridare un senso allo scorrere del tempo”, non ci sono distrazioni, non segue nessuno sport, la sua pazienza verso il dinamismo degli altri è uguale a zero, una divagazione snob è la musica, non quella “rap, house, hip hop, tecno e simili”, ma quella classica, che “… ricrea l’Origine e può far vibrare qualche sopito anelito”, anche se ci sono i momenti in cui sente la necessità durante “… il cammino di fermarsi a danzare rimirando il mare d’una notte breve… (per poi) riprendere la strada, accompagnati dalla memoria d’un attimo e, coltivando intrecciate radici come mani che si stringono”. Un suo rammarico, dopo essersi tanto impegnato e aver tanto fatto a livello provinciale, non essere riuscito, in politica a raggiungere gli onori pubblici regionali e nazionali, quando alcuni individui, che sono salpati con lui o subito dopo, sono diventati soggetti importanti: “Troppa gente sta da troppe parti…”, ha anche il cruccio “delle cose non fatte, dei luoghi non visti, delle pulsioni represse, degli amori non confessati, delle musiche non ascoltate”. Gli aforismi piacciono perché l’Autore non può usare artifici, non può permettersi di sbagliare nemmeno una parola, dicono tanto in un minimo “La poesia è” e poi sono adeguati a questo nostro dinamico tempo, sono spunti per riflettere, parlano di chi li scrive, sono degli autoritratti, poi diventano una guida: “Meglio restare esclusi che inclusi nel gregge plaudente che non capisce niente”. Romano, certamente non è attratto dal chiacchiericcio, “La noncuranza del frivolo è parte fondante della necessaria cura del sé”, “Amo la mia e l’altrui riservatezza” e nemmeno dai perditempo: “Chi sostiene di pensare e dire cose decisive va evitato, per preservare la propria igiene mentale da pur minuscola contaminazione”. Nei suoi aforismi non ci sono domande ma risposte “La terapia della parola veritativa allevia, anche chi ascolta. Questa è la profondità”, c’è uno stretto legame tra fede e cultura letteraria “La liturgia … senza l’austera ed evocante solennità del Sacro e del misterioso, si riduce a parodia ripetitiva”, tra l’epifania della bellezza e la manifestazione del dolore: “Come un cactus può fiorire, una rosa può morire”, ma anche l’insofferenza verso le piccinerie ipocrite: “Evitare, scansare, immunizzandoci finché possibile con netta presa di distanza dalle lacrimose o gaie partecipazioni banalmente emotive…”. Regalandoci il suo patrimonio culturale senza fondo, ci chiede uno sforzo stuzzicandoci l’intelletto con aforismi imbevuti di razionalità, sono tutti da citare, incantano l’occhio del lettore, se dovessi scegliere quello che mi ha affascinato maggiormente non avrei dubbi: “Il diritto alla felicità è una pretesa ideologica che accresce l’infelicità e moltiplica la dispersione per non raggiungerla”, come a dire rinuncia a cercarla forse arriverà. Alchimista della parola, nei suoi interventi lusinga qualche presente citandolo, raccogliendo apprezzamenti, colpisce la sua capacità di muoversi su più fronti e l’energia con cui inventa instancabilmente iniziative, con la sua casa editrice, fondata a sedici anni, con oltre 1000 pubblicazioni esprime un messaggio preciso, un libro è un’isola, scrive poesie “come creativa illuminazione sacrale”, non con un cronoprogramma, non con numerose o meccaniche dosi, ma con moderazione, con essenziale equilibrio e con chiaro vigore esente d’enfasi, si compiace di quanto fatto ma si proietta subito dopo sul da fare. Tommaso Romano scrive “venero il pathos della distanza”, non sopporta l’ipocrisia “mi indispongono coloro che si dichiarano d’accordo con me e alle spalle, poi fanno e dicono in tutt’altra direzione” e per la paranoica preoccupazione di essere sfruttato crede poco nell’amicizia, particolarmente in chi si comporta in modo strumentale, “qualcuno può soccorrerci con un tasso moderato d’interesse… i falsi amici vaganti che vorrebbero, in fondo, continuare a tentare di spolparmi lacerandomi invano il cervello”. Gli piace donare, soprattutto libri, gradisce anche ricevere, non chiede niente a nessuno né per se, men che meno per gli altri, per modestia non ama farsi presentare “non voglio essere considerato affatto una sorta di profeta né, tantomeno, ideologo, neppure missionario o un vate o un segnavia,” però non si esime di utilizzare il diritto di autoesaltazione, non c’è pittore prestigioso o fotografo d’eccezione che conosce, che sia sfuggito alla tentazione di fare un suo ritratto, che regolarmente pubblica nei suoi libri, gli genera una gradevole sensazione l’interesse di qualcuno nei propri confronti, essere al centro dell’attenzione lusinga il suo ego, a volte gli capita di ostentare la propria cultura pluripremiata, fa fatica a tenere a bada il proprio narcisismo quando rileva le sue simpatie letterarie, gli incontri e le frequentazioni avute con immortali personaggi di Anche se nel nostro tempo c’è una sovrabbondanza di celebrità al punto da assimilarsi con l’anonimato, “confido poco nella giustizia del tempo”, in lui trapela un tenace obiettivo, quello di lasciare “il solco tracciato”, “facendo Forse ha qualche forma di superstizione, ma non crede alla fine del mondo, non è idealista nel senso che non coltiva utopie ma crede nella tradizione, un eretico antimoderno che si è fatto stregare da facebook, ma se ne serve con accortezza, cerca di adeguarsi ai mezzi digitali, “basta non scambiare la tecnica con l’essenza”, mantiene un innato legame con la carta stampata e inflessibilmente continua a scrivere a mano, nei suoi lavori si rappresenta sempre, in Alchimia della polvere, un libro diverso, in ogni riga c’è qualcosa di più di una supposta vanità che porta a esagerare, si coglie un’atmosfera di vertiginosa libertà, marcando nel -finito di stampare-, l’omaggio della pubblicazione: “Questo libro in edizione non venale…”. Intellettuale a tutto tondo, che odia l’odierno trambusto, rifugge da comitive e gruppi “mi distraggono immancabilmente” con chiarezza e tono lieve rapisce e pilota ogni piacevole o arguto intrattenimento, rare volte in senso ideologico, non ha la virtù della leggerezza ma ha l’onestà dell’approfondimento, perfetto antidoto alla pesantezza. Rigido nelle decisioni, inonda con i suoi programmi che non mancano mai, rispettoso e preciso negli impegni con una serietà contrattuale certa, comunque, comunemente con un vantaggio garantito, non necessariamente economico: “Nel proprio tempo si deve poter usare ciò che agevola… e chi dice di disprezzare il denaro mente”. Nell’autoritratto non parla del suo lavoro quotidiano di docente, che ha sempre rispettato con estrema regolarità, non mescolando mai l’attività di professore con le altre attitudini, infatti, mi ha sempre incuriosito conoscere qualche giudizio di suoi alunni, gli è sfuggito pure riferire della sua teutonica puntualità. Nobile galantuomo d’altri tempi, con maniere cortesi “saluto le donne prima … condivido la Cavalleria basata sulla familiarità e la condivisione, l’onore e l’atto generoso gratuito”, sempre impeccabile: “Vesto alla mia moda”. L’illuminata opera di Laura Natangelo riportata in quarta di copertina esalta il contegno intellettualistico di Tommaso Romano e della pipa che “riduce un cenere… il tempo che vogliamo dedicarvi”, un Per non farci mancare nulla, in “questo piccolo libro”, con tanti insegnamenti, a conferma della sua sorprendente ironia, c’è incluso un segnalibro con cui ci consiglia di prendere a fine lettura un digestivo di sicura efficacia, con rappresentata un’immagine di un tanto desiderato virtuale abbraccio a conferma del suo intercettante e sorprendente tratto profetico ed a riprova che in fondo l’amicizia esiste anche per chi non ci crede. Diciamo che averne fatto conoscenza è un’esperienza singolare ed a dimostrazione di quanto asserito, in occasione del suo ultimo compleanno un amico di facebook, Aldo La Fata, gli scriveva: “Carissimo Tommaso, i miei più fervidi e affettuosi auguri. Ricordati che sei insostituibile, quindi ci aspettiamo da te per lo meno l’immortalità”.

  • ALTAVILLA MILICIA: In libreria il nuovo studio di Salvatore Mantia sulla Novena alla Madonna della Milicia

    “La Novena per la Madonna della Milicia: una spiegazione storico-antropologica” è in libreria con prefazione di , arcivescovo di Palermo e di Si tratta di un nuovo studio di il cui tema centrale è l’interpretazione storico-teologica di un’antica novena di autore anonimo, scritta in dialetto siciliano, ad Altavilla Milicia, dove è presente il santuario mariano, meta di pellegrinaggi, un cantore accompagnato da un fisarmonicista dilettante, la settimana precedente i festeggiamenti della Madonna della Milicia – dal 6 all’8 settembre – canta di notte la Novena, porta per porta. Il libro di Mantia analizza da punto di vista artistico il venerato quadro focalizzando l’attenzione sugli stilemi pittorici e sul problema della committenza, essendo il dipinto tardo-trecentesco, di autore anonimo. restauro del quadro avvenuto nel 1990 che ha riportato alla luce l’autenticità e l’antica immagine che era coperta da un abito argenteo ottocentesco applicato sull’immagine della Madonna. Vengono analizzate le strofe del canto, mettendo in evidenza il contrasto tra la fede cristiana e quella islamica; infatti la Novena racconta una tradizione oralmente tramandata circa il misterioso ritrovamento del quadro presso la spiaggia del mare. Ciò è inteso come un tòpos agiografico presente in altre leggende di argomento affine. Nel libro viene riportato un nuovo contributo, sinora inedito; è stato infatti ritrovato da Salvatore Mantia presso l’archivio storico del Conservatorio di musica di Palermo una partitura ottocentesca del maestro , la quale sinora si riteneva perduta. La fantasia musicale si intitola appunto l’8 Settembre ad Altavilla di cui parla l’antropologo nel suo volume Feste popolari in Sicilia. Il libro di Mantia è corredato da illustrazioni di e da fotografie della festa di Altavilla. Pino Grasso – Il Pungolo di Bagheria

  • A pranzo con Sciascia La sala era piccola e il “ciavuru” la riempiva tutta…

    La trattoria era lì, di fronte alle Scuole sulla strada per lo Stadio che portava alla Caravella. Macchie di alberi di limoni ancora coloravano di verde quella zona ormai mangiata dal cemento. Giù spiccava la cupola della Basilica di Santa Flavia, alla sinistra il Monte di Solunto con le rovine Aprile, il sole era caldo, sembrava di essere già a luglio! Un pezzo di Bagheria e noi nel mezzo. La sala era piccola e il ciavuru la riempiva tutta, il menù era per tutti uguale: uova ciurusa, sarde salate, olive nere, l’antipasto, pasta con le sarde, mollica atturrata di sopra per primo, polpettine di neonata fritta, alici e sarde fritte per secondo. Tutti i tavoli erano occupati, Santino correva senza sosta tra la cucina e la sala, la gente lo chiamava:- “…Santino porta un litro di vino rosso…”, -“…porta un poco di pane e l’olio per l’insalata…”, -“…talè Santino…vedi se ci sono quattro calamaricchi…”. Le tovaglie a quadratini rosse e bianche erano un colpo d’occhio, la porta che dava sulla strada era aperta e arrivava una brezza d’aria fresca, ad Aspra soffiava il Maestrale. Il nostro tavolo era all’angolo, con me c’era Nicola, Franco e Ciccio, la banda Barzetti, tutte le trattorie della Sicilia erano state calpestate dalle nostre suole, da Partinico a Catania, da Montelepre a Messina, dalla Zà Maria ai Pirtusa. Mangiavamo e chiacchieravamo, del Palermo che non andava in A, di Berlinguer e Almirante, del Papa, della mafia. Nicola era posapiano, mangiava col suo tempo, io non stavo mai fermo, Franco stava con la testa calata, Ciccio era polemicoso:- “…ma chistu pisci friscu è?…a mia non mi convince!…”-. Accanto a noi erano sedute tre persone dal portamento serioso, con giacche e cravatte, anche loro mangiavano e parlavano, parlavano e mangiavano, chiossà di nuatri!- “…Nicò…talìa a stu cristianu, mi pari conoscente…”,-“…seh…tu parli e Franco si sta mangiando tutti i calamara!…”. Guardavo con curiosità e insistenza verso quel tavolo, quando uno dei tre con la mano mi fece segno di avvicinarmi e io m’avvicinai. –“…ora ci sugnu, ecco chi è lei, l’avevo riconosciuto ma ero incerto, lei è Leonardo Sciassia, lo scrittore!…Nicò u viri…è u signor Sciascia!”. Ci siamo presentati e lui chiamò a Santino e unimmo i tavoli. Con Sciascia c’erano Michele Pantaleone e Vincenzo Consolo, altri due grandi personaggi della cultura siciliana, il Pantaleone, senza alcuna paura aveva fatto sempre la guerra con le parole ai mafiosi, il Consolo descriveva e raccontava la Sicilia del dopoguerra con passione e tanta realtà. gente, le ville, qui ci venivo a mangiare con Renato e Ignazio, qui ho conosciuto a Scianna artista della fotografia, qui mi sento al centro della Sicilia e la Sicilia è al centro del mondo! Qui mi sento come quando sono alla Noce a Racalmuto”. Nicola da un vassoio pescava polpi maiolini murati, io mi perdevo dietro alle parole di Sciascia. –“…Professore mi racconta quando sceneggiò il film “Bronte, cronaca di un massacro”. –“…mizzica ti ricordi di questo film?…fu girato nel 1972 e suscitò polemiche che alla fine lo fecero sparire. Il regista era Florestano Vancini e subì una specie di ostracismo e io ebbi una garbata polemica coll’allora preside di Lettere di Catania e Storico Giuseppe Giarrizzo sul modo di trattare gli avvenimenti storici. Lì si trattò di un massacro e Nino Bixio operò senza rendersi conto che ammazzò un povero Cristo, lo scemo del paese che aveva scambiato la rivolta per un gioco. Pantaleone, comunista di ferro attaccò a parlare con Franco di “mafia e politica” il suo primo libro che ebbe l’onore della prefazione di Carlo Levi e la “benedizione” di Don Calò. Un piatto di trigghiulella dorata riportò tutti al silenzio. –“…caro Pinuzzu sai qual è lo scrittore che più mi annagghiò?…Tolstoj! E attìa quale ti pigghiò di più?-“…Professò a parte i suoi a me è piaciuto assai assai “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa”. –“…bello, pure a mia mi piaciu, è siciliano come me, come attìa, come a nuatri! Noi siamo gli italiani esagerati! Che caratteri, paremu l’Etna, scoppia, s’astuta, s’arruspigghia, fa scantari, piaci, fa chianciari, tutti lo talìano, tutti ci vogliono andare a vederlo!”. Santino, il cameriere portò un’altra bottiglia di vino bianco, gocciolava, era Corvo, bianco di Salaparuta. Ciccio e Consolo brindarono al nostro incontro. “…professore ma della politica cosa mi dice…ah…!-“…la politica è come un macigno che pesa, tanto, sulla coscienza dei nostri governanti, oggi lo stato italiano non esiste. Per me lo Stato coincide con la Costituzione e la Costituzione in questi ultimi tempi si va spappolando, nel Parlamento sono anime morte che stanno lì a fare numero, non chiedono parole, non hanno mai un pensiero proprio, il potere non è nel Parlamento ma altrove. E stanno tutti lì, come il cane attaccato al portello!”. Che personaggi, che giornata, che mangiata! Sciascia svampa e parla, ti illumina, sulla Chiesa, sulla mafia, sulla Sicilia e la sua storia, su Pirandello che prima detestava e poi amò tanto. Parlò di Telesio Interlandi un altro siciliano di gran talento, una delle penne più maledette del fascismo che dirigeva “la difesa della razza”, ed insieme al mistero di Raymond Russel e alla scomparsa di Ettore Majorana sono tra le contraddizioni più drammatiche dei segreti siciliani. Una decina di cannoli appena fatti, poi una cassatina e ripiombò nel silenzio quel tavolo disordinato, bottiglie vuote, cravatte slacciate, fumo, tanto fumo, e gli una volta il West” o “C’era una volta in America”, sono pietre miliari e dicono molto di più di sparatorie e bande di criminali. Rosi è “Salvatore Giuliano”, solo lui poteva fare quel film e in quel periodo, il 1961 e a me mi criticavano perché avevo scritto del capitano Bellodi nel “Giorno della Civetta” come di un paladino cher voleva sconfiggere il drago. Oggi sono stanco, spesso esco con Michele, con Consolo, con Bufalino, vado alla Noce, tra vento e fichidindia e ripenso alle mie opere che hanno girato il mondo. Sai io a Parigi sono più amato di qua! E qui la linea della Palma porta sempre al Nord. “Siamo fatalisti come gli arabi, siamo pessimisti di natura, è il nostro modo di essere siciliani e non aveva torto il tuo “Gattopardo”, quando diceva che la Sicilia è irredimibile, perché anche per me Palermo è irredimibile…”. Ci portano l’amaro siculo, l’Averna di Caltanissetta, le sedie sono alzate sui tavoli, Santino sta scopando, in cucina Alfredo ha chiuso, il nostro tavolo continua a parlare, tra fumo e sonnolenza, qualcuno ha gli occhi a pimpinella, il Corvo ha beccato.-“…caro Pinuzzu i siciliani, tra loro, sono diversi, sai, nel “Consiglio d’Egitto”, il Vicerè fa una domanda: come si fa ad essere siciliani? Come si fa a sopportarlo? Come si fa a vivere essendo siciliani? Rispondi se ci riesci! Talè amuninni, caficimu scuru e qua devono chiudere e poi abbiamo chiacchierato tanto. Mi ha fatto veramente piacere conoscervi, siete buone forchette e bravi picciotti, poi quello fuma più di me, picciotti grazie per la compagnia, grazie di tutto e arrivederci, ah…siete stati miei ospiti…”. E indossando il suo cappotto grigio, la solita Dunhill in bocca uscì insieme ai suoi amici dalla trattoria. Fuori il vento era abbacatu e portava un profumo di nespole e gelsomino, era il suo tempo. Era l’aprile del 1988. “Il mare colore del vino”, “Todo modo”, Le pietre di Regalpetra”, “La strega e il capitano”, “Il contesto”, “Porte aperte”, “Una storia semplice” queste e tante altre opere per il cinema, il teatro, sempre alla ricerca della verità, scomodo, pessimista, dilettante dell’antimafia, con vocazione europea, esempio per la giustizia, seppe unire ragioni della ragione e ragioni del cuore, il 20 novembre 1989 morì lasciando un vuoto che a distanza di 31 è ancora grande, per un

  • Premiata Dorotea Matranga del Circolo Giardina di Bagheria

    Concorso Internazionale di poesia e narrattiva “Città di Cefalù” I giurati hanno voluto premiare l’impegno culturale della poetessa Dorotea Matranga che, come sappiamo, è responsabile delle attività culturali l’associazione “Giacomo Giardina”, il circolo bagherese dedicato alla poesia e alla narrativa. La premiazione avverrà nei prossimi giorni a Cefalù.