Addio per sempre ora legale | Dal 2026 tutta l’Europa compatta per la novità: cosa cambia dal punto di vista energetico

Esperti e medici chiedono lo stop definitivo al passaggio tra ora solare e legale entro il 2026. Analisi dei benefici economici e dei rischi per la salute.

Ora legale

Addio ora legale (Freepik) - Bagheriainfo

Il rituale spostamento delle lancette, che due volte l’anno scandisce i ritmi di milioni di cittadini europei, potrebbe avere i giorni contati. O meglio, gli anni. Torna prepotentemente alla ribalta il dibattito sull’abolizione del cambio dell’ora, con una nuova, pressante scadenza suggerita da esperti e associazioni: il 2026. Nonostante il Parlamento Europeo si fosse già espresso favorevolmente nel 2019 per porre fine a questa alternanza, l’iter legislativo si è arenato tra le maglie della burocrazia di Bruxelles e le divergenze tra gli Stati membri. Ora, però, nuove evidenze scientifiche e necessità economiche spingono per una risoluzione definitiva.

Un iter legislativo in stallo e la nuova scadenza

La storia dell’abolizione del cambio dell’ora è un classico esempio di impasse comunitaria. Nel 2018, una consultazione pubblica promossa dalla Commissione Europea registrò un record di partecipazioni: l’84% dei 4,6 milioni di rispondenti si dichiarò favorevole all’abolizione del cambio semestrale. Sulla scia di questo plebiscito, il Parlamento Europeo votò nel 2019 una risoluzione per sopprimere il cambio orario a partire dal 2021, lasciando però ai singoli Stati la libertà di scegliere se adottare permanentemente l’ora solare o quella legale.

Poi arrivarono la pandemia e la crisi geopolitica, e la questione scivolò in fondo all’agenda del Consiglio dell’Unione Europea. Oggi, a rilanciare la questione è in particolare la SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale), che insieme ad altre organizzazioni internazionali sta spingendo affinché il 2026 diventi l’anno zero per l’adozione dell’ora legale permanente. La scelta di questa data non è casuale: serve tempo per armonizzare i sistemi di trasporto e logistica, ma l’urgenza è dettata dalla necessità di tagliare i costi energetici e migliorare il benessere psicofisico della popolazione.

Salute ed energia: i motivi dietro la richiesta

Il fronte del “no al cambio” poggia su due pilastri fondamentali: la salute pubblica e il risparmio energetico. Dal punto di vista medico, la letteratura scientifica è sempre più concorde nel definire il passaggio orario come un evento traumatico per l’organismo. Il nostro orologio biologico, regolato dai ritmi circadiani, fatica ad adattarsi al repentino sfasamento temporale. Questo “mini jet-lag” è stato correlato a un aumento dei disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, stress e, secondo alcuni studi pubblicati su riviste di cardiologia, persino a un lieve incremento del rischio di infarti e ictus nei giorni immediatamente successivi al cambio.

Sul fronte economico ed energetico, la situazione è complessa ma tende a favore dell’ora legale permanente. Secondo i dati di Terna, la società che gestisce la rete elettrica italiana, nei 7 mesi di ora legale il sistema Paese risparmia circa 90 milioni di euro (dati 2023) grazie ai minori consumi di elettricità per l’illuminazione. La proposta di rendere l’ora legale permanente tutto l’anno, estendendola anche ai mesi invernali, porterebbe a un ulteriore risparmio stimato, oltre a una riduzione significativa delle emissioni di CO2. Tuttavia, i detrattori sottolineano che l’illuminazione mattutina ritardata in inverno potrebbe erodere parte di questi benefici, spostando i consumi alle prime ore del giorno.

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Il nodo politico: la posizione dell’Italia e lo scenario europeo

Se i benefici sembrano pendere verso l’abolizione, perché continuiamo a spostare le lancette? Il problema è squisitamente politico e geografico. L’Europa è divisa in fasce: i Paesi del Nord, che in inverno hanno pochissime ore di luce, temono che l’ora legale permanente li costringa a iniziare la giornata lavorativa e scolastica nel buio più totale fino a mattina inoltrata. Al contrario, i Paesi del Sud come l’Italia beneficiano maggiormente delle lunghe serate luminose.

Fino ad oggi, l’Italia ha mantenuto una posizione conservatrice. I governi che si sono succeduti hanno depositato a Bruxelles una richiesta formale per mantenere lo status quo, temendo che una decisione non coordinata potesse creare un “arlecchino” di fusi orari nel Vecchio Continente, con disastrose conseguenze per il mercato unico, i trasporti transfrontalieri e il turismo. Immaginare un’Europa in cui passare dalla Francia alla Germania o dall’Italia all’Austria comporti un cambio di orario è lo scenario che Bruxelles vuole evitare a tutti i costi.

La proposta per il 2026 cerca di superare questo stallo chiedendo una decisione univoca e coordinata. L’obiettivo è convincere il Consiglio UE a riprendere in mano il dossier, forzando una mediazione che potrebbe vedere l’adozione dell’ora legale permanente come standard, o una divisione razionale in macro-aree. La parola passa ora alla politica, ma la pressione della comunità scientifica e la crisi climatica rendono il ticchettio verso il cambiamento sempre più forte.