Devi pagare alla banca per avere i tuoi soldi | Lo Stato ti costringe a versare 4000€ per ottenere quello che ti spetta: il caos del TFS
I tempi di attesa per il Trattamento di Fine Servizio possono superare i due anni. L’unica via per l’incasso immediato è l’anticipo bancario, ma i tassi erodono l’assegno.
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Andare in pensione dopo una vita di lavoro e scoprire che, per ottenere la propria liquidazione in tempi ragionevoli, bisogna pagare. È questo il paradosso che vivono oggi migliaia di dipendenti pubblici italiani alle prese con il Trattamento di Fine Servizio (TFS). Mentre nel settore privato il TFR viene erogato quasi contestualmente alla cessazione del rapporto di lavoro, nel pubblico impiego l’attesa si è trasformata in un vero e proprio percorso a ostacoli, costringendo i neopensionati a rivolgersi agli istituti di credito e a cedere una parte dei propri risparmi sotto forma di interessi passivi.
Un’attesa che sfida la pazienza (e la Costituzione)
Il meccanismo che regola l’erogazione del TFS è unico nel suo genere e, secondo molti osservatori, palesemente iniquo. Attualmente, un dipendente statale che raggiunge i limiti di età deve attendere almeno 12 mesi per la prima tranche della liquidazione, che diventano 24 mesi in caso di dimissioni volontarie o pensione anticipata. A questi tempi tecnici si aggiungono spesso altri 90 giorni per l’istruttoria INPS. Il risultato? Non è raro che un pensionato veda il primo euro della sua liquidazione dopo quasi tre anni dall’ultimo giorno di servizio.
La situazione è ancora più critica per chi ha usufruito di scivoli pensionistici come “Quota 100” o “Quota 103”: in questi casi, il pagamento viene differito fino al momento in cui si sarebbe maturato il diritto alla pensione di vecchiaia ordinaria, portando l’attesa anche a cinque o sei anni. Su questo punto è intervenuta recentemente la Corte Costituzionale con la sentenza n. 130 del 2023, definendo il differimento del TFS incompatibile con il principio della giusta retribuzione sancito dall’articolo 36 della Costituzione. I giudici hanno sottolineato come la liquidazione, essendo salario differito, non possa essere trattenuta dallo Stato per esigenze di bilancio. Tuttavia, in assenza di una nuova legge che recepisca il monito della Consulta, i tempi restano biblici e il problema irrisolto.
La trappola degli interessi: il costo dell’anticipo
Di fronte a tempi d’attesa così dilatati, l’unica soluzione per chi ha bisogno di liquidità immediata – magari per aiutare un figlio a comprare casa o per far fronte a spese sanitarie – è richiedere l’anticipo del TFS. Qui scatta la seconda parte del problema: il costo del denaro. Fino a poco tempo fa, esisteva la possibilità di ottenere un anticipo a tasso agevolato (l’1%) direttamente tramite l’INPS. Tuttavia, i fondi stanziati per questa misura si sono esauriti rapidamente a causa dell’enorme mole di richieste, lasciando come unica alternativa il mercato bancario ordinario.
Sebbene esista un accordo quadro con l’ABI per tassi calmierati, l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Banca Centrale Europea negli ultimi due anni ha avuto ripercussioni pesanti. Anche se oggi la situazione si sta stabilizzando, chiedere un anticipo alla banca significa sottoscrivere un prestito a tutti gli effetti. Il pensionato cede il suo credito verso l’INPS alla banca, la quale anticipa la somma (fino a un massimo di 45.000 euro o l’intero importo a seconda delle formule) trattenendo subito gli interessi. In sostanza, il cittadino paga per avere accesso a soldi che sono già suoi di diritto, trasformando un ammortizzatore sociale in un prodotto finanziario.

Quanto si perde: i calcoli e l’inerzia legislativa
Ma quanto costa effettivamente questa operazione? L’impatto sul potere d’acquisto della liquidazione è notevole. Ipotizzando un TFS di 50.000 euro e un’attesa residua di due anni, con un tasso (TAEG) che nel mercato libero può oscillare tra il 4% e il 6% a seconda dell’istituto e del periodo, il costo dell’operazione può variare dai 2.000 ai 4.000 euro. Si tratta di una “tassa occulta” che erode il capitale accumulato in decenni di servizio.
Le organizzazioni sindacali denunciano da tempo questa situazione, definendola inaccettabile. Il fatto che lo Stato utilizzi i soldi dei dipendenti come un prestito a tasso zero per far quadrare i conti pubblici, costringendo chi ha urgenza a pagare interessi ai privati, rappresenta un’anomalia tutta italiana. Nonostante le promesse politiche e i richiami della magistratura, manca ancora una riforma strutturale che cancelli il differimento o che, quantomeno, renda l’anticipo gratuito per tutti. Fino ad allora, il TFS resterà un diritto a scoppio ritardato, con un prezzo salato per chi non può permettersi di aspettare.