Allarme benzina per il 2026 | Aumento sostanziale delle accise e costi alle stelle: cosa accadrà da gennaio

Il governo lavora alla rimodulazione delle accise per allineare la tassazione tra diesel e benzina. Ecco cosa prevede il Piano Strutturale di Bilancio e gli impatti previsti per il 2026.

Benzina

Benzina (Depositphotos) - bagheriainfo

Il tema delle accise sui carburanti è tornato prepotentemente al centro del dibattito economico e politico italiano. Con la presentazione del Piano Strutturale di Bilancio (PSB) di medio termine inviato a Bruxelles, il governo ha delineato una strategia che potrebbe modificare sensibilmente il costo dei rifornimenti alla pompa nei prossimi anni. L’orizzonte temporale cruciale è fissato per il 2026, anno in cui dovrebbero concretizzarsi pienamente le misure di “riallineamento” fiscale tra benzina e gasolio. Questa operazione risponde a precise direttive europee legate alla transizione ecologica, ma solleva preoccupazioni per le possibili ricadute sul settore dei trasporti e sul potere d’acquisto delle famiglie.

Il contesto normativo e la spinta verso la decarbonizzazione

La riforma delle accise non nasce da un’iniziativa isolata, ma si inserisce in un quadro più ampio di revisione della spesa pubblica e di impegni assunti con l’Unione Europea. Al centro della questione vi sono i cosiddetti SAD, ovvero i Sussidi Ambientalmente Dannosi. Attualmente, il sistema fiscale italiano prevede un’accisa agevolata per il gasolio rispetto alla benzina: una differenza storica nata per favorire il trasporto commerciale e l’industria, ma che oggi viene considerata anacronistica rispetto agli obiettivi del Green Deal europeo.

Secondo le direttive comunitarie, tassare meno un combustibile fossile equivale a incentivarne l’uso, rallentando di fatto il passaggio a forme di energia più pulite. Il governo, nel testo del PSB, ha esplicitamente citato la necessità di utilizzare la leva fiscale per allineare le aliquote. Non si tratta, nelle intenzioni dichiarate dall’esecutivo, di una mera operazione per fare cassa, bensì di uno strumento di politica ambientale volto a disincentivare l’uso dei veicoli diesel, considerati maggiormente inquinanti in termini di particolato e NOx, sebbene le moderne motorizzazioni abbiano fatto passi da gigante. Il 2026 rappresenta una data chiave perché coincide con la fase matura di attuazione di queste riforme strutturali richieste dal nuovo Patto di Stabilità.

Cosa cambia: il meccanismo di allineamento tra benzina e diesel

Ma cosa accadrà concretamente ai prezzi? Attualmente, l’accisa sulla benzina è pari a 72,8 centesimi al litro, mentre quella sul gasolio si ferma a 61,7 centesimi. Esiste dunque un differenziale di circa 11 centesimi a favore del diesel. Il piano di riallineamento prevede la progressiva eliminazione di questa forbice. Le ipotesi sul tavolo sono essenzialmente due: un aumento secco delle accise sul gasolio fino a raggiungere il livello della benzina, oppure una manovra a “somma zero” per lo Stato, che preveda un aumento del diesel e una contestuale, lieve riduzione delle accise sulla benzina, facendole incontrare a metà strada.

Il Ministro dell’Economia ha più volte sottolineato che l’obiettivo non è aumentare la pressione fiscale complessiva, ma rimodularla. Tuttavia, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha stimato che un allineamento completo verso l’alto porterebbe nelle casse dello Stato un gettito aggiuntivo considerevole, quantificabile in diversi miliardi di euro. Se il meccanismo dovesse entrare a regime nel 2026, gli automobilisti con vetture a gasolio potrebbero trovarsi a pagare il carburante cifre sensibilmente più alte, annullando il vantaggio economico che storicamente ha spinto l’acquisto di tali veicoli. Va precisato che per l’autotrasporto professionale (i camionisti) dovrebbe rimanere in vigore il meccanismo del rimborso delle accise (il cosiddetto “gasolio commerciale”), proteggendo parzialmente il settore logistico, ma i dettagli su chi potrà accedere a tali esenzioni saranno decisivi.

Le ripercussioni su trasporti, consumatori e inflazione

Le conseguenze di questa riforma potrebbero estendersi ben oltre il semplice costo del pieno. In Italia, oltre l’80% delle merci viaggia su gomma. Un aumento strutturale del costo del gasolio, se non perfettamente compensato da sgravi per gli autotrasportatori, rischia di scaricarsi sui prezzi al consumo, alimentando una nuova spinta inflazionistica sui beni di prima necessità. Le associazioni dei consumatori hanno già lanciato l’allarme, calcolando che l’equiparazione delle accise potrebbe costare alle famiglie italiane centinaia di euro l’anno in costi diretti e indiretti.

Inoltre, c’è il tema del parco auto circolante. Milioni di italiani hanno acquistato auto diesel basandosi su una convenienza fiscale che ora rischia di svanire. Questo potrebbe accelerare la svalutazione dell’usato diesel, spingendo verso l’elettrico o l’ibrido chi può permetterselo, ma penalizzando le fasce di popolazione con minor capacità di spesa che utilizzano vecchie auto a gasolio per necessità lavorative. Il 2026 sarà dunque l’anno della verità: il governo dovrà trovare un difficile equilibrio tra le richieste ambientali di Bruxelles, la necessità di mantenere i conti in ordine e la tutela del potere d’acquisto dei cittadini, in un contesto in cui la mobilità privata resta un pilastro insostituibile dell’economia nazionale.